La alterazioni
Le note della scala sono sette, anzi dodici. Mi spiego meglio: i nomi delle note sono sette, ma alterando ognuna di queste sette note - il Do, il Re, il Mi eccetera - si ottengono i dodici gradini che costituiscono il sistema musicale adottato in occidente sin dai tempi di J.S. Bach.
Alterare una nota significa alzarla o abbassarla rispetto alla sua intonazione originale. Di quanto esattamente si alzano o si abbassano le note?
Ogni sistema che si rispetti ha una sua unità di misura. Per individuare un'unità di misura che ci permetta di organizzare le altezze dei suoni, cioè l'intonazione, proviamo ad osservare come è costruita una piccola scala di suoni.
Tra Do e Re, ad esempio, esiste una distanza, che è sempre quella e che i fisici misurano con complessi calcoli legati ai parametri fisici dei suoni, cioè frequenza, lunghezza d'onda, eccetera. La musica, che usa i suoni per "fare arte" non può adottare misure complesse, ma deve potersi organizzare in modo agevole e chiaro. Per cui si è stabilito che tra Do e Re c'è, molto semplicemente, la distanza di "un tono".
Così anche fra Re e Mi c'è la distanza di un tono. Ma tra Mi e Fa le cose si complicano.
Anche cantando una scala ci si rende conto che tra Mi e Fa c'è una distanza più stretta che fra Re e Mi, una distanza che è esattamente la metà di un tono cioè "un semitono". Se tra Mi e Fa c'è la distanza di un semitono, cioè di mezzo tono, significa che anche fra Do e Re si può individuare un suono "X" che sta in mezzo a loro, e che dista esattamente un semitono dal Do ed un semitono dal Re.
Se suddividiamo tutte le distanze delle note fra Do e Fa in semitoni otteniamo una sequenza di suoni, tutti posti alla distanza di semitono (che segneremo con " ½") l'uno dall'altro.
Do ½ X ½ Re ½ X ½ Mi ½ Fa
Si tratta allora di dare un nome a queste X, un nome che, all'interno della scala di sette note che conosciamo, identifichi quei suoni che stanno esattamente in mezzo, alla distanza di un semitono dagli altri due.
La soluzione, antica e molto precedente a Bach, consiste nel considerare questi suoni X come stati alterati delle note che stanno o prima o dopo di essi. Se si altera il Do intonandolo mezzo tono sopra rispetto la sua posizione originale lo si trasforma in un Do diesis (#). Se invece si altera il Re intonandolo mezzo tono sotto la sua posizione originale si trasforma in un Re bemolle (). Il diesis (#) perciò alza la nota di mezzo tono mentre il bemolle ( ) l'abbassa di mezzo tono. Il Do diesis e il Re bemolle dal punto di vista musicale elementare sono lo stesso suono.
Ecco rappresentate sul pentagramma due scale musicali in semitoni (dette anche scale cromatiche), una che sale (con i diesis) e una che scende (con i bemolle).
I dodici suoni della scala: la scala cromatica
Come si può osservare l'alterazione (diesis o bemolle) è posta sempre davanti alla nota da alterare, mai dopo. Inoltre c'è ancora un segno da considerare: il bequadro (), il quale ha il compito di riportare la nota alterata al suo stato originale. Ovvio che il bequadro si usa dopo che una nota è stata alterata; se la nota non è stata alterata nelle vicinanze non è necessario utilizzarlo. Alcune volte si può trovare ul bequadro all'inizio di una battuta ma ciò è dovuto alla presenza di una alterazione "in chiave" che affronteremo più avanti. Ci sono convenzioni precise che regolano l'uso delle alterazioni ma, per non mettere troppa "carne al fuoco", mi limito a queste indicazioni elementari.
Uso del bequadro
Per quanto una nota normale e una alterata si chiamino in modo simile, esse costituiscono due suoni differenti, che vanno cantati o suonati come tali. Invece, ai fini della lettura solfeggiata delle note, sarebbe davvero complicato pronunciare "diesis" o "bemolle" dopo ogni nota alterata. Per questo un Do diesis continua ad essere letto col semplice termine Do e un Re bemolle con Re.
Questo aspetto ci aiuta a comprendere la vera funzione del solfeggio e l'importanza di battere la mano mentre si solfeggia. Il solfeggio mira ad esercitare esclusivamente la lettura ritmica, cioè la lettura delle durate dei suoni. Per l'intonazione è invece utile il solfeggio cantato che però esula dai contenuti di questo lavoro. Il solfeggio cantato, ritmicamente più semplice del solfeggio ritmico, abitua l'orecchio a percepire le misure di tono e semitono. E' una parte dello studio teorico che risulta essere molto utile ed efficace: anche i cosiddetti "stonati" si ritroveranno con poco sforzo ad avere "ugole d'oro".
Nel prossimo articolo conosceremo la famigerata "Chiave di basso".
ESERCIZIO 1
In questo esercizio appaiono per la prima volta le alterazioni. Per quanto riguarda il solfeggio, le alterazioni non si leggono: si solfeggia come se non ci fossero. Tuttavia è bene abituasi a leggere brani dove ci sono alterazioni. Se il brano dovesse essere cantato o suonato le alterazioni assumerebbero un'importanza fondamentale per la corretta esecuzione del brano.
ESERCIZIO 2
In questo esercizio ci sono molte alterazioni. Valgono le stesse indicazioni date per l'esercizio.