Incredibile scoperta: un gruppo di archeologi ha rinvenuto un flauto ricavato da un osso animale; data di costruzione: presumibilmente 40.000 anni fa, epoca nella quale l'uomo dimorava ancora in caverne e mangiava carne cruda.
Ricordo una signora di quando ero bambino e raccontavo di voler fare il musicista. Diceva: Musicista? Ma quello non é un lavoro! La musica non serve a niente. Allora non sapevo come rispondergli, ma ero certo che prima o poi avrei trovato le parole giuste. Non avrei mai pensato che il mio avvocato difensore sarebbe stato un uomo di 40.000 anni fa, il quale, prima ancora di scoprire o inventare la quasi totalità di ciò che gli avrebbe potuto rendere la vita più comoda, si interessò alla musica: all'inutile musica.
La verità é che la musica é tutt'altro che inutile. Non lo é nella nostra epoca supertecnologica, dove la musica la si fa con i computer, la si scarica da internet, la si ascolta in televisione, alla radio, nei supermercati e addirittura nelle suonerie del telefono.
Provate a far caso a quante volte durante una giornata siete investiti da musica di vario genere; e provate ad immaginare di essere catapultati in un luogo dove la musica sia totalmente bandita, dove persino i canarini siano afoni! Prima o poi ci si troverebbe a fischiettare, ad immaginare un brano, una canzone, uno stornello. Anche se la chiudiamo fuori dalla porta, se ci tappiamo le orecchie, se ci rifugiamo in una grotta ai limiti della civiltà, la musica ci cresce nella mente.
E' sempre stato cosí? Dipende! Nell'ottocento, ad esempio, la musica fu il mezzo di espressione più in voga fra gli artisti; per il pubblico assumeva in sé il potere incantatore che hanno oggi la televisione e il cinema. In altre epoche si limitò a risuonare nelle chiese o nelle osterie, in maniera più sommessa. Tuttavia sin dalle origini, la musica non smise mai di essere "utile", certamente con delle differenziazioni, ma sempre asservita ad uno scopo.
Persino per il lontano flautista di 40.000 anni fa la musica rappresentava qualcosa di utile: sbaglierebbe chi pensasse che quel flauto d'osso servisse per "dilettare" in momenti di preistorico relax. Che diletto avrebbe potuto trarre da un piccolo flautino un tizio, più o meno peloso, abituato a vedersela a quattrocchi con belve feroci, e con il gravoso compito di sopravvivere minuto per minuto? Se decise di costruirsi una specie di flauto non lo fece certo per hobby ma perché quell'oggetto aveva un'utilità ben precisa: fare musica; fare musica utile!
Utile a cosa?
Principio numero uno: l'uomo di 40.000 anni fa non era poi cosí diverso da noi, abitanti del terzo millennio. Aveva qualche pelo in più, masse muscolari potenti, neanche un velo di pancetta e, sicuramente, molte, ma molte meno certezze rispetto a noi. Il boato di un tuono, o di una valanga, sono per l'uomo moderno associabili a ragioni naturali o scientifiche. Non mi sognerei mai di interpretare il rombo di una saetta come la voce di un dio.
Ma per l'Homo sapiens sapiens (così é stato chiamato l'uomo di 40.000 anni fa, e che chiameremo per comodità Hoss ) i suoni che accompagnavano la sua esistenza costituivano qualcosa di misterioso, di magico. Il linguaggio che utilizziamo per comunicare e il mondo dei suoni sono per noi due espressioni distinte. Ma per Hoss il suo "Hu! Hu!" non era diverso dal "Grr! Grr!" delle belve, dal sibilo del vento che risuonava nelle grotte, o dal canto degli uccelli.
Tutti i suoni erano espressione di esistenze vitali, di anime, e più forte era il suono, più autorevole era la presenza che simboleggiava. Il rombo di un temporale o l'esplosione di un vulcano erano le voci degli dei più potenti e severi. Ma immaginate la sorpresa di Hoss il giorno che per caso (tutte le più belle scoperte avvengono per caso) ritrovandosi a soffiare in un osso cavo udì il suono dolce, morbido e amichevole che ne usciva. Strana cosa, pensò, un volgare osso con una voce così suadente.
Tutto ciò che non fosse spiegabile razionalmente - e la razionalità di Hoss era sorretta ancora da pochissime certezze - doveva avere una ragione divina.
Dopo varie riflessioni Hoss decise che un dio buono, creatore di cose belle, aveva sicuramente lasciato la propria anima in quell'osso, e attraverso quell'osso sussurrava la propria voce. Suonare quell'osso, che con qualche buco qui e là diventò un flautino, significava udire la voce di un dio, un po' come per noi leggere le sacre scritture.
Hoss rimase talmente entusiasta da questa spiegazione che si mise alla ricerca di tutti i possibili oggetti dove gli dei potevano avere lasciato le loro anime e le loro voci. Per ogni oggetto che gli capitava fra le mani eseguiva una serie di test: lo percuoteva, ci soffiava dentro, lo pizzicava; se ne usciva un suono piacevole l'oggetto diventava simbolo di un dio e portatore di un'anima divina e di una voce.
Questa descrizione, che a tratti potrebbe apparire quasi grottesca - del resto Hoss nelle grotte ci abitava - diventa più verosimile se osserviamo i nostri neonati. Mio figlio, all'età di un anno, qualunque cosa afferrasse lo sottoponeva agli stessi test di Hoss: lo percuoteva per sentirne il rumore, lo buttava a terra per apprezzarne lo schianto sul pavimento e, se aveva un'apertura, ci soffiava dentro nella speranza che ne uscisse un suono. Persino noi adulti ogni tanto, quando siamo a tavola, ci divertiamo a colpire con una posata il bordo di un bicchiere per sentire che suono ne esce.
Noi non attribuiamo al suono del bicchiere un significato divino, ma già per i nostri bimbi appena nati, i suoni delle cose sono le voci delle cose, non molto diversi dalla loro stessa voce. Immaginatevi perciò quanta magica impressione dovettero fare ad Hoss tutti i suoni che poco alla volta scopriva.
L'universo si stava animando di una essenza nuova che avrebbe ben presto cominciato ad alimentargli la mente, la ragione e l'anima.
Hoss si stava facendo Uomo.
Nel prossimo post vedremo come da flautino Hoss scoprirà la forza della voce, del canto.