Tra il rigoroso canto gregoriano e la nascita della polifonia, c'è ancora un tassello da esplorare, un tassello che ha una certa importanza per inquadrare la sequenza evolutiva della musica.
Per la chiesa romana l'aver ottenuto unitarietà nella liturgia tra le diverse chiese dell'impero, prima romano, poi carolingio, comportava il dover fare i conti con abitudini che nella chiesa gallicana (area francese) o in quella mozarabica (area spagnola) si erano amplificate da tempo. Il rito romano era molto rigido nel rispetto della tradizione antica, che in buona sostanza significava avere tolleranza minima verso le variazioni o le libertà esecutive dei cantori. Altrove invece il prendersi più ampie libertà nel "giocare" con le melodie era più tollerato. Come conciliare posizioni così distanti?
Andiamo un poco più a fondo nella questione. I motivi per cui la chiesa romana si opponeva alle libertà musicali erano legittimi anche se non legati a ragioni musicali. A partire dalla dissoluzione dell'impero romano, chi si occupava di dare un'organizzazione al culto cristiano dovette districarsi fra una moltitudine di tradizioni, culti, riti, reminiscenze della cultura greca e, giusto per dare una fine all'elenco, a lingue e usanze diverse. La linea più vicina alla musica cristiana era la tradizione ebraica. Sebbene la bibbia in latino (la "vulgata") fosse già stata introdotta a partire dagli inizi del V secolo, la memoria musicale continuava a rifarsi a melodie costruite sulla lingua ebraica. Qui e la', nelle regioni galliche come in Spagna, i cantori avevano iniziato a modificare prima i testi e poi, inevitabilmente, anche la musica. La chiesa cristiana non vedeva di buon occhio questi cambiamenti perché dal cambiare testi e musica al cambiare il pensiero il passo era breve. La quantità di culti perseguiti dalla chiesa cristiana é prova di quanto questo processo era percepito come un autentico pericolo dal mondo cristiano.
Tuttavia era altrettanto legittima l'osservazione che nelle espressioni di giubilo, come nell'alleluia ad esempio, una carica emotiva che espandendosi si esprimesse attraverso una maggiore libertà melodica, poteva non essere obbligatoriamente irrispettosa o addirittura profana.
Tanto che a ben guardare, di questi "sforamenti" rispetto il severo repertorio codificato, ce ne furono sempre, sin dai tempi della prima chiesa ambrosiana. Si trattava di variazioni, di piccoli "ghirigori" melodici (detti "melismi"), che poi finivano per l'essere tollerati perché musicalmente non erano poi così brutti, e nemmeno irrispettosi.
Però, col tempo, il desiderio di variare si trasformò in voglia di inventare, di cambiare, di riscrivere nuove melodie, soprattutto nel momento in cui si affinava la tecnica di scrittura musicale.
Queste nuove melodie presero il nome di "tropi", ed in breve tempo diventarono la passione di tutti i musici carolingi. I tropi erano inizialmente "aggiunte" melodiche a brani del repertorio liturgico. Non più variazioni ma veri e propri inserti aggiuntivi.
Col tempo le inserzioni coinvolsero anche i testi e non solo le melodie. Questa fu davvero un problema perché mentre era (a forza) tollerabile per la chiesa romana una aggiunta musicale, lo era assai meno una aggiunta testuale inedita, slegata dalle sacre scritture e frutto della fantasia di musici e poeti.
In breve tempo quasi tutte le parti della messa e persino quelle dell'Officio finirono con l'essere contaminate da grandi quantità di tropi. Per l'alleluia ne vennero scritti una tal quantità da meritarsi un termine di catalogazione autonomo: i tropi alleluiatici vennero definiti "sequenze" .
I più fecondi centri da cui si diffusero tropi e sequenze furono il monastero di San Gallo, ad opera del famoso monaco Notker Balbulus, e quello di San Vittore a Parigi. Tutto ciò avvenne a cavallo tra il primo ed il secondo millennio.
Alla chiesa non rimase che subire questa grande rivoluzione musicale, per poi rifarsi in parte nel famoso concilio di Trento (1545) quando decise (ma era ovviamente troppo tardi) che di tutto l'immenso repertorio di tropi e sequenze, solo una manciata di queste potesse essere accolta nel repertorio liturgico.
In realtà, contemporaneamente al fiorire di tropi e sequenze prendeva vita quella che sarebbe stata la prima grande vera rivoluzione musicale: quella che portava la musica da un livello monodico a quello polifonico.
Di questa rivoluzione racconterò nel prossimo articolo.