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Storia della musica in post:6 la teoria musicale della Grecia antica

Se solo fosse possibile ricostruire un evento musicale o teatrale od anche semplicemente pubblico ma con presenza di musica, svoltosi nell'antica Grecia, molte questioni potrebbero essere finalmente risolte. Si potrebbe comprendere contro quale tipo di musica si opponesse Platone, oppure quale funzione avesse effettivamente la musica nel teatro greco. In realtà ci è possibile solo ricostruire partendo da testimonianze, da scritti o da raffigurazioni. E, come se non bastasse, sull'attendibilità di tutto questo corpus documentario teorico legato all'uso ed alla funzione della musica nella Grecia antica, si possono legittimamente avere dubbi e perplessità. Insomma, il periodo greco è di grande interesse per lo studioso ma di altrettanto grande incertezza per chi ci volesse davvero capire qualcosa.

I teorici e soprattutto i didatti novecenteschi hanno preferito proporre le loro intuizioni a "grandi linee", pretendendo di fare teoria musicale greca ma con occhio moderno, cercandovi scale, sistemi di notazione, modi, schemi e quant'altro. Nella maggior parte dei manuali di storia della musica ci sono pagine e pagine dedicate ai tetracordi, ai modi, ai nomoi e alle harmonie, come se fosse davvero possibile ricostruire sistemi teorici basandosi su testimonianze postume, ellenistiche, alessandrine se non romane. In verità i modi musicali greci, così come vengono riportati da tanti libri, non rispecchiano esattamente ciò che stava alla base del far musica greco.

Il motivo per cui molta della teoria musicale che si pretende fosse alla base della musica greca è in realtà un prodotto postumo e nemmeno troppo attendibile, è che la concezione che i greci avevano della musica incorporava l'aspetto poetico, quello simbolico, quello strumentale e persino quello etico.


L'intera musica era rappresentativa e mai assoluta, nel senso che la musica non si presentava al pubblico in forma di concerto, con il pubblico che ascoltava seduto e con l'applauso alla fine. Questo modo di intendere la musica, è bene dirlo, si manifesterà pienamente molto vicino alla nostra epoca, e comunque non prima del diciassettesimo secolo d.c.

La musica asserviva allo scopo di rappresentare od evocare una storia, un rito, un aspetto del vivere e mai slegata da un parallelo momento poetico o di danza.
Quando Platone si scagliò contro il modo di far musica alla "Lidia" non si scagliò contro una scala o un modo di accordare o di comporre (termine anche questo inadatto al contesto greco). Platone si riferiva invece ad un complesso di elementi che comprendeva aspetti poetici, rappresentativi, evocativi e musicali, strumenti compresi.

Per Platone la musica esprimeva il testo ed era indivisibile dalla sostanza stessa del testo.
Tra i modi non graditi a Platone vi era anche lo Ionico, che egli considera inadatto all'educazione.
Aristofane, il celebre commediografo, racconta che il modo ionico lo si poteva scorgere in situazioni non propriamente educative, come ad esempio uno sconcio dialogo fra due prostitute. Ovvio che Platone non lo amasse.

Per comprendere più a fondo la questione è necessario fare qualche passo indietro e ripartire dal periodo più antico della cultura greca. A differenza di come avviene oggi, dove al musicista è permesso di inventare qualunque melodia gli passi per la testa, il musicista greco eredita dalle civiltà antiche (egizie e babilonesi) l'abitudine di affidarsi a formule precostituite, che poi erano degli schemi melodici adatti ciascuno alle diverse occasioni o ai diversi testi da accompagnare musicalmente. Questi schemi venivano chiamati nomoi.

L'uso dei nomoi ebbe grande risonanza e si propagò fino al periodo classico più avanzato della cultura greca. La classificazione dei nomoi portò col tempo a formulare una teoria che va sotto il nome di teoria dell'ethos. Questa teoria mirava semplicemente ad attribuire effetti psicologici ed educativi ad un nomos, stabilendo quando fosse giusto utilizzarne uno piuttosto che un altro. Non solo: vi erano nomoi da eseguirsi cantando, altri con la Lyra, altri ancora con la Kithara o altri strumenti.

Quando nel tempo si affermò l'Aulos (strumento a fiato a doppia ancia) o la Syrinx ( flauto diritto) l'uso dei nomoi cominciò a corrompersi; forse proprio l'introduzione di questi due strumenti, che non permettevano all'esecutore di cantare mentre suonava, cosa che lo spingeva più intensamente al far musica, fu alla base di questa lenta ma progressiva corruzione. Non per nulla Platone, che era musicalmente un conservatore, disprezzava sia l'aulos che la syrinx.

I diversi nomoi divennero identificativi anche della regione di provenienza così come del modo tipico di quella regione di intonare i canti o di accompagnare i riti. Ecco perché i diversi modi di far musica presero nome da diverse regioni dell'antica Grecia: il modo dorico, quello lidio, quello ionico e via dicendo.
Come si può arguire è evidente che ogni "modo" sottendeva molto più che una semplice scala o Tetracordo (scala di quattro suoni). Ogni modo evocava una gran quantità di elementi simbolici ed espressivi.

Ai nomoi vennero sostituite progressivamente le harmonie le quali erano concettualmente piuttosto simili ai nomoi ma consentivano una più ampia libertà al musicista. Gli schemi melodici erano più elastici e permettevano una qualche dose di improvvisazione. L'harmonia era più orientata alla musica a differenza dei nomoi che comportavano una maggior attinenza a testi e situazioni extra-musicali. Tuttavia si sbaglierebbe a pensare all'harmonia come una sorta di modo moderno o tonalità di un brano. Il rapporto con il testo era e rimane indissolubile ancora per qualche secolo, nonostante le derive più spiccatamente ornamentali che via via si moltiplicavano.

Gli strumenti venivano accordati con l'una o con l'altra harmonia, e quando talune soluzioni strumentali permettevano il passaggio rapido da una harmonia all'altra si parlava di "modulazione".
Ma già qui non è del tutto escluso che gli studiosi posteriori abbiano voluto immaginare nella musica greca evoluzioni che in realtà non erano ancora avvenute.

Attorno al IV secolo compaiono, per bocca di teorici ellenistici, nuovi generi del far musica che vanno sotto il nome di enarmonico, esarmonico, cromatico ed altri ancora.

Affrontare un'analisi di ciascun genere è superfluo e forse pure inutile dato che da lì a poco tutta la cultura greca avrebbe subito un processo di osmosi con le altre tradizioni musicali del bacino mediterraneo. Si trattava comunque di progressivi allontanamenti dalle rigide regole dei nomoi o delle harmonie. La musica si faceva più libera, e forse meno autentica, accomunata nello stesso destino con tutta la grande civiltà greca.

Ovviamente la musica greca non era solo filosofia e teoria. C'era l'aspetto pratico del far musica, il suo intimo legame con l'appena nato teatro, con la tragedia. In più tutto il far musica greco fu il primo grande esempio di pensare l'espressione musicale come un modo di esprimere tutti gli aspetti della vita, non solo quello religioso, ma anche quello sociale, educativo, finanche mitologico, magico e profondamente terreno. La musica poteva accompagnare un rito funebre e subito dopo un rito orgiastico.
Nonostante i nomoi e le harmonie era una musica più libera di quanto si pensi.

Ma di questo parlerò più diffusamente nel prossimo articolo.

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.