Il Bouzouki o il Sirtaki o le seducenti sonorità mediterranee della moderna musica greca, con l'arte musicale delle antiche civiltà greche non centrano assolutamente niente: zero. E non fa nulla se per combinazione il moderno folclore musicale greco prediliga gli strumenti a corda, così come ai tempi di Platone lo strumento più diffuso fosse la lira.
Dell'antica musica greca non ci è rimasto nulla che sia musicalmente orientativo, però, per la prima volta nella storia della musica, ci sono pervenuti ragionamenti e considerazioni su come la musica venisse considerata almeno sin dai tempi di Pitagora (VI secolo a.c.). E ciò basta per considerare la cultura musicale greca la prima, autentica e consapevole capostipite di tutte le culture musicali fino ai giorni nostri.
In effetti, comunque, la musica e la cultura greca sono figlie delle tradizioni egizie e mesopotamiche di cui ho già parlato nei precedenti articoli. Inoltre subì influssi dalle espressioni musicali ebraiche di cui farò qualche accenno più concreto all'inizio del lungo percorso attorno alla musica cristiana del primo millennio dopo Cristo.
Insomma, il pensiero e l'arte greca non sono cultura autoctona che si forma indipendentemente da ciò che già si era fatto e si faceva altrove. Sebbene le comunicazioni non fossero così evolute come quelle di oggi, lo sviluppo su grandi spazi di tempo delle diverse culture permetteva una osmosi continua fra le tradizioni culturali di tutte le civiltà più o meno prospicienti il mediterraneo. Però in Grecia succede qualcosa di inedito: succede che alcuni uomini comincino a riflettere sul senso delle cose apprese, conosciute e accadute fino a lì, dando origine all'arteria principale di tutto il pensare umano: la filosofia.
Alla filosofia non poteva sfuggire la musica, e non solo perché i filosofi greci si ritrovarono a riflettere praticamente su tutto. La musica era molto più di un "qualcosa" su cui costruire speculazioni: la musica era stata ed era ancora al centro dei riti cultuali di tutte le civiltà medio orientali e, nonostante la relativa laicità della cultura greca antica, continuava ad essere considerata la più completa e significativa delle arti.
La "Mousikè", considerata come l'insieme omogeneo di musica, poesia, danza e ginnastica, vantava virtù educative, mediche, scientifiche e psicoterapeutiche. I filosofi se ne interessarono talmente che per alcuni il comporre musica era un modo diverso di "filosofare". Il mito delle cicale nel Fedro di Platone, descrive il filosofare come un modo di "rendere onore alla musica".
Questo sebbene Platone abbia scritto sulla musica cose a favore e a sfavore insieme, elevandola talvolta al rango più alto fra le "Muse" (le arti), ma condannandola quando il pensiero musicale si faceva pratico, cioè quando la musica la si suonava o cantava per davvero. Ma su Platone tornerò più avanti.
Prima di Platone la musica era già stata al centro dell'attenzione di altri autorevoli pensatori il più importante dei quali fu Pitagora. Per gli studenti non umanisti Pitagora e la scuola Pitagorica (Pitagora non lasciò nulla di scritto e tutto ciò che è a lui attribuito è dovuto alle testimoniane degli allievi) sono legati alle numerose riflessioni aritmetico scientifiche. Tuttavia Pitagora fu un autentico filosofo, anzi un religioso, che cercò di individuare nei numeri l'essenza di tutte le cose. Le intuizioni aritmetiche e scientifiche erano il risultato di una ricerca filosofica, e non viceversa.
Pitagora avvertì una certa contiguità fra il mondo dei numeri e la musica e quando scoprì che i diversi suoni di una scala stavano fra di loro secondo rapporti numerici semplici e regolari avanzò l'idea che la musica fosse una "aritmetica applicata" esattamente come l'astronomia fosse una geometria applicata. Ma l'aritmetica dei numeri, l'astronomia, il ritmo e i rapporti universali della musica servirono a Pitagora per dare una forma concreta al concetto di "armonia".
I pianeti e le stelle erano posti nella volta celesta con tale perfetta armonia numerica da generare una musica straordinaria, la "Musica (o armonia) delle sfere", che solo i pochi che riuscivano ad ottenere uno stato di catarsi (purezza di corpo e di anima ottenibile attraverso la musica), avrebbero percepito.
L'armonia Pitagorica era anche "unificazione dei contrari" cioè ricerca della consonanza. Così come alcuni suoni stanno fra di loro in rapporto dissonante o consonante e così come la consonanza sia uno stato preferibile alla dissonanza, anche le cose del mondo avrebbero dovuto perseguire quello stato di consonanza musicale principio di ogni stato di armonia.
L'allievo di Pitagora, Filolao, scrisse che i rapporti fra i suoni sono modello dell'armonia universale. La musica, per i pitagorici, è rivelatrice dell'essenza dell'universo: il numero.
Con il filosofo Damone il pensiero si rivolge più all'aspetto pratico della musica che a quello eminentemente speculativo. La musica aveva il potere di evocare questo o quel carattere dell'animo umano, anche se poi Damone non riesce ad individuare con certezza cosa determini nella musica l'affinità a questo o quel carattere.
Altri pensatori individuarono nei diversi "modi" musicali i responsabili dei diversi temperamenti evocati. I diversi modi (nel prossimo articolo chiarirò meglio il concetto di "modo") erano inizialmente tipici delle diverse aree del territorio greco, così c'era il modo dorico, quello frigio, quello lidio e via dicendo. Ogni modo richiamava perciò il carattere della terra da cui prendeva origine, i costumi, le idee, finanche il regime politico. Ogni modo era simpatico agli uni e antipatico agli altri; era vietato in alcune zone e preferito in altre.
Sui modi musicali e sui loro effetti si giocò una buona parte della speculazione politico - educativa - filosofica della civiltà greca posteriore al V secolo a.c. Per Socrate (richiamato da Platone), non solo i modi devono essere accuratamente scelti ma anche i ritmi, ognuno appropriato alla giusta occasione.
Ma, giungendo a Platone, è necessario stabilire sin da subito un principio fondamentale. Per Platone esistevano sostanzialmente due concetti di musica: la musica teorica cioè pensata e sublimata a livello del filosofare, e la musica pratica, quella udibile o suonata. Per Platone la prima era "musa" di tutto rispetto ed anzi, come detto all'inizio, degna dell'essere accostata alla filosofia; la seconda, la musica pratica, era invece da condannarsi a meno di particolari cautele.
E' curioso constatare nelle speculazioni platoniche sulla musica le stesse identiche contraddizioni che segneranno il rapporto che le chiese cristiane avrebbero avuto con la musica: venerazione per il potere dossologico e sacro della musica ma, contemporaneamente, paura e condanna per chi faceva della musica la propria professione e per la modernità che alla musica i musicisti, inevitabilmente e continuamente, apportavano.
Se facciamo un passo indietro e torniamo al ruolo della musica presso le civiltà mesopotamica ed egizia, osserviamo che la musica è potuta rimanere per millenni l'arte prediletta del culto religioso solo perché per millenni non si è evoluta se non minimamente. Gli addetti alla musica erano sacerdoti e, persino nelle espressioni profane, è verosimile che l'influsso sacro fosse fortissimo.
Ma già nella fase preomerica della civiltà greca il musico si fa laico e libero di inventare la "sua" musica, libero di scegliersi lo strumento, libero di inventare cadenze e di utilizzare ritmi e modi a piacere. Un musicista libero ma soprattuto una musica libera cominciano ben presto a far paura.
La musica ha il particolare potere di comunicare ben oltre le parole, di forzare i filtri culturali, di attaccare direttamente lo stato emotivo e di espandere il proprio influsso in maniera endemica. L'abbiamo ben visto nel secolo scorso quando il rock ha, da solo, aggregato milioni di giovani sparsi su tutte le latitudini. E' per questo che la musica ha dovuto sempre lottare per ottenere una vera libertà di espressione.
Platone fu il primo censore della musica, il primo di una lunga serie. Limitandomi al pensiero platonico relativo alla musica, esso è il sunto di tutto ciò che sarà la posizione nei confronti della musica di tutti i pensieri discendenti dal platonismo: avversione alla musica intesa come forma di piacere, e rispetto per l'accezione teorica o contrita del far musica.
La musica diviene virtuosa solo se privata dal dominio dei sensi e restituita al dominio della ragione. Platone avversa la musica dei suoi tempi, le nuove armonie, i nuovi strumenti, le cadenze e i ritmi giovani. Due millenni dopo avremmo risentito le stesse ragioni professate dal controriformistico Concilio di Trento.
Platone non nega l'utilità della musica nell'educazione dei giovani ma la condiziona al controllo didattico e la finalizza non al "saper suonare uno strumento" come diremmo noi oggi, ma piuttosto all'ottenere dai ragazzi, per mezzo della musica, una personalità più armoniosa ed "euritmica". Ma sull'educazione musicale penserà Aristotele ad essere più preciso.
Anche Aristotele si occupa di musica ed il suo pensiero è assai meno radicale di quello platonico. Anzi, per alcuni versi Aristotele si oppone all'idea che Platone si era fatto della musica. Dal punto di vista educativo Aristotele riabilita totalmente la musica, musica pratica compresa.
La mousikè torna ad occupare una parte importante dell'educazione giovanile. Il tutto però doveva avere un limite che coincideva con il passaggio dall'età scolastica a quella adulta. lo stesso "fare musica" contemplato fra gli aspetti educativi più importanti, diventava, per Aristotele, sconsigliabile nell'età adulta. Ma le ragioni erano differenti rispetto le ragioni platoniche, e trovavano le origini nella concezione di lavoro e di ozio proprie della società greca.
Suonare uno strumento era virtù se praticato nei momenti di ozio, nella totale spensieratezza. Un adulto libero e non schiavo, poi, avrebbe trovato maggior espressione d'ozio nel giudicare altri che suonavano, piuttosto che nel suonare esso stesso. Per giudicare era però necessario aver imparato a suonare da giovani. L'adulto che invece avesse dovuto suonare professionalmente sarebbe stato considerato poco più che uno schiavo, così come erano considerati tutti coloro i quali erano costretti a lavorare per vivere.
L'uomo libero era un uomo votato all'ozio e l'ozio era ritenuto da Aristotele "nobile e liberale". Ecco perché il suonare era considerato virtuoso se non presupponeva un atteggiamento professionale. Non vi era però in Aristotele alcuna preclusione circa i modi, i ritmi, gli strumenti, la modernità.
Stendendo un ponte all'indietro verso Pitagora, Aristotele richiama il concetto di catarsi ribadendo l'effetto medico della musica sull'anima e sul corpo. Le due visioni, quella Pitagorica/Aristotelica da una parte e quella Platonica dall'altra sfoceranno con diversi successi nell'ellenismo e poi nella successiva tradizione musicale cristiana.
L'idea platonica, filosoficamente attigua se non profetica rispetto al pensiero cristiano, avrà la meglio. La musica, grazie alla forza che ne è sostanza, non ne patirà; i musicisti sì!
Come già detto nel prossimo post andremo un poco più a fondo nella teoria musicale dell'antica Grecia.