La musica ha con il culto e la liturgia cristiana un rapporto strettissimo sin dalle origini più remote. Le diverse chiese cristiane, da quella siriaca a quella romana, da quella ortodossa fino alle declinazioni riformate, si sono invece poste spesso in posizione contraddittoria, da una parte accettandone l'indiscutibile forza liturgica, ma talvolta opponendosi all'incontrollabile potere comunicativo.
Per cui, da qui in poi, il percorso della musica sarà tratteggiato spesso dalla relazione che essa ha avuto con gli uomini che nella storia hanno retto il comando della chiesa, mentre con il cristianesimo è indiscutibile che la musica non possa che essere stata nella quasi totalità delle sue espressioni un autentico atto di fede e di amore per l'intero universo.
Alle origini del culto cristiano la musica già c'era. Non nel senso che era già stata inventata, cosa che abbiamo appurato negli articoli precedenti; nel senso che c'era già la musica che avrebbe costituito il repertorio liturgico cristiano. I primi cristiani furono ebrei, e gli ebrei neocristiani, insieme all'annuncio di Gesù, portarono pure la Bibbia e il repertorio liturgico che da essa emanava.
Il canto cristiano affonda le sue radici nella Sinagoga d'Israele ed i primi cristiani furono piuttosto conservatori rispetto a ciò che avevano mantenuto del rito ebraico.
Ecco perché sin dalle primissime testimonianze la liturgia cristiana propone Inni, Salmi e Canti spirituali di origine ebraica.
Alla cultura europea e soprattutto a quella italiana sfugge talvolta il fatto che il cristianesimo si sia più rapidamente esteso in area mediorientale, in Palestina, in Grecia, nell'Asia minore e nell'Africa settentrionale ad esempio e solo un poco dopo esso abbia preso forza anche più a nord ed in Italia. In Italia il culto fu frenato anche dalle persecuzioni di cui furono oggetto i cristiani dal 64 d.c. fino all'editto di Costantino nel 313 (Editto di Milano). La maggior libertà di cui il culto cristiano poté beneficiare nell'area mediorientale fu determinante per creare quell'imprintig lievemente orientaleggiante che ancora oggi caratterizza una parte del repertorio di canto cristiano.
La chiesa siriaca fu, ad esempio, di cruciale importanza per la connotazione del canto cristiano. In Siria, soprattutto ad Edessa si sviluppò una letteratura cristiana fiorente ed inedita. A questo si deve aggiungere che dalla metà del quinto secolo in quell'area cominciarono decine di dispute e controversie dogmatiche che portarono all'istituzione di altre chiese cristiane (nestoriana, giacobita) ognuna con una liturgia propria e, conseguentemente, con canti propri.
Nel grande crogiolo che contiene tutte le vicende storiche, sociali e religiose della prima metà del primo millennio è evidente che la musica dovesse passare in secondo piano, rimanendo legata esclusivamente ai culti religiosi e soprattutto a quello cristiano.
Quando il canto cristiano poté finalmente esprimersi liberamente anche nel cuore del declinante impero romano, esso non poteva che essere improntato alle sonorità, ai testi ed alle maniere orientali, perché in oriente la tradizione musicale cristiana aveva trovato una origine, un certo sviluppo e persino una forma di trasmissione codificata. In Siria, l'importanza del canto spinse alcuni teorici a formulare un primissimo codice di trasmissione scritta della musica: il codice ecfonetico .
La scrittura ecfonetica non fu l'unico tentativo di trascrivere i canti cristiani. Altri apparvero in Egitto ed alcuni pure in Grecia. C'è una ragione per la quale si rese impellente la necessità di trascrivere il più dettagliatamente possibile la parte musicale degli inni liturgici.
La chiesa cominciò ben presto a non sopportare la libertà che i cantori si prendevano di improvvisare o variare la musica o anche i testi delle Sacre Scritture.
Nel terzo secolo la chiesa decise di sopprimere una gran quantità di inni, stabilendo nel contempo quali erano autorizzati. Questa è la ragione per cui molti inni dei primi secoli del cristianesimo non sono sopravvissuti fino a noi.
Tuttavia, come accadde spessissimo, questa si rivelò una manovra "boomerang" giacché proprio l'assenza di quegli inni soppressi, frutto della fede e dell'estro popolare, finì col fare perdere lustro e splendore alla chiesa stessa, che nel giro di poco dovette fare marcia indietro.
Ho accennato agli inni e allora, prima di concludere, elenco brevemente quali erano le principali forme adottate dai primi canti cristiani.
La Salmodia era ed è una recitazione intonata di salmi ebraici e cantici. Inizialmente la forma salmodica fu ereditata senza modificazioni dal rito ebraico. Col tempo vi furono innestate piccole parti inedite. Nella salmodia orientale la musica tese progressivamente a pretendere maggior peso rispetto alle parole, conferendo ad essa una particolare caratteristica che ancora oggi è apprezzabile in alcune salmodie.
L'Inno è un canto sillabico, cioè su ogni sillaba era possibile fermarsi per eseguire piccoli tratti melodici. Ovviamente i tratti melodici da piccoli che erano cominciarono subito a farsi più grandi, nel tempo grandissimi, ed è per questo che la chiesa ebbe con gli inni un costante rapporto di odio-amore.
I Canti spirituali erano invece gli Alleluia o altri canti gioiosi, estatici e ricchi di fioriture. Agostino definì i Canti Spirituali " canti d'allegrezza senza parole ". L'origine ebraica è evidente tant'è che una parole ebraica quale "Alleluia" è stata conservata fino ad oggi senza traduzioni o modificazioni.
Infine c'erano i Canti antifonici che si affermarono un po' dopo nonostante anch'essi furono di origine ebraica. I canti antifonici consistevano nell'esecuzione di canti a cori alterni, cioè con il coro diviso in due sezioni, che cantavano i versetti o le diverse parti in maniera alternata.
Questa forma si affermò prima in Siria e poi in Palestina per poi estendersi progressivamente nelle altre regioni.
Nel prossimo articolo rimarrò in oriente per poi dopo seguire con continuità ciò che avvenne nella terra italica.