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Verdi e gli anni di galera

Dopo Nabucco e i Lombardi iniziò per Verdi un periodo controverso. Due cose balzano agli occhi: la grande quantità di opere scritte e le continue lamentele per un’attività giudicata dallo stesso Verdi troppo impegnativa, un poco noiosa, sopportabile solo misurando il crescente conto in banca.
Una lettera sintetizza lo stato d’animo ricorrente nel Verdi di quest’epoca:

A Masi
 

5 novembre 1845
 

Grazie delle notizie dell’Alzira, ma più ti ringrazio della memoria che conservi del tuo povero amico, imprigionato continuamente a scribacchiare note, delle quali Iddio scampi le orecchie di ogni buon Cristiano. Maledettissime note! Come sto di fisico e d’anima? Di fisico sto bene, ma l’anima è nera, sempre nera, e sarà sempre cosi finché non avrò finito questa carriera che aborro. E dopo? E’ inutile illudersi. Sarà sempre nera cosi! La felicità non esiste per me.

Questo periodo sarà da Verdi stesso denominato “gli anni di galera” e gli anni sono quelli che vanno dal 1844 al 1851, dalla stesura di Ernani, opera successiva ai Lombardi fino alle soglie della trilogia popolare cioè di Rigoletto.
Sono comunque anni di profonda maturazione e di evoluzione. Tutto quello che sarà il nuovo linguaggio verdiano, a partire dal Rigoletto, si plasmò in questa laboriosa fucina dove Verdi sperimentò in sordina, provocò in maniera sottile e camuffò il suo lavorio interno dandone al pubblico piccole dosi omeopatiche, verificandone poi l’effetto.

E’ sufficiente ad esempio esaminare una pagina tratta da un’opera di questo periodo creativo per rendersi conto del processo evolutivo condotto da Verdi.

Il brano è tratto dall’opera Macbeth. La vicenda è attinta da Shakespeare. Questo collegamento - Verdi/Schakespeare - ci offre ancora una volta la prova dell’anima teatrale di Verdi. Verdi adottò il teatro shakespeariano altre volte nelle sue opere: in Otello e in Falstaff.

Nella scelta di Macbeth ciò che sorprende è la precisa intenzione di musicare una vicenda dove la caratterizzazione dei personaggi diventa cruciale: i caratteri di Macbeth, di Lady Macbeth, l’ambientazione diabolica popolata da streghe.

Un breve esempio di questo clima è rintracciabile nell’inquietante momento immediatamente seguente al delitto perpetrato da Macbeth ai danni del Re Duncano di Scozia.(Macbeth. Atto Primo, Scena tredicesima. LADY MACBETH: “Regna il sonno su tutti...”)

All’ascolto - perché dall’ascolto si traggono le impressioni, non certo dall’unica lettura del libretto - la sensazione che si trae è la terribile angoscia, la paura, anzi il terrore che pervade Macbeth, paura che l’assassinio venga scoperto troppo presto, paura che qualcuno possa averlo visto, paura di se stesso, paura della paura.
Per contro il canto della moglie Lady Macbeth è di altra natura, più ferma, più determinata a perseguire con fermezza gli obiettivi di potere progettati insieme al marito.

E’ l’ambientazione musicale che è nuova. La musica ora partecipa al dramma come un rivelatore psicologico, un primo embrionale specchio delle anime dei personaggi.

A questo punto può essere interessante fare qualche esercizio statistico.
Verdi concepì Rigoletto con quindici opere alle spalle e cioè: Oberto conte di S. Bonifacio, Un giorno di Regno, Nabucco, I Lombardi alla prima Crociata, Ernani, I due Foscari, Giovanna d’Arco, Alzira, Attila, Macbeth, I Masnadieri, Il Corsaro, La battaglia di Legnano, Luisa Miller e Stiffelio.
Inoltre apprestò un adattamento de I Lombardi alla lingua francese per essere rappresentato a Parigi .
Tutto questo accade dal 1839 al 1851 cioè in 12 anni.

Dal 1851 al 1901, nei successivi 50 anni prima della morte, Verdi scrisse 11 opere più alcuni rifacimenti.
Ora è più chiaro cosa Verdi intendesse per “anni di galera”? Ed è chiara la diversità d’approccio alla creazione che adottò nei due periodi.


Ancora qualche numero.
Rossini scrisse 37 opere in 17 anni, poco più di due nuove opere l’anno.
Donizetti, che in quanto a laboriosità fu un campione, arrivò a scriverne più di 70 in 25 anni, quasi tre opere l’anno.
Wagner, contemporaneo di Verdi ma appartenente ad un mondo assai distante da quello dell’opera italiana, scrisse 13 opere in 50 anni e balza subito all’occhio l’analogia con le 11 opere in 50 anni del Verdi post-Rigoletto.


I numeri hanno significati sempre relativi e mai assoluti, tuttavia ci offrono dei riferimenti corroboranti per comprendere la teoria evoluzionistica del genio Verdiano.
Verdi si innestò nella linea tipica dell’opera italiana e poi se ne liberò appena il successo garantito glielo consentì. Se ne liberò gradatamente perché in realtà i numeri che abbiamo esibito non ci dicono che Verdi all’inizio mantenne ritmi “donizettiani” per poi diradare sempre più le proprie scadenze.
Questo perché da un certo momento in poi ebbe delle necessità nuove, necessità puramente artistiche, legate alla concezione delle proprie opere.


Donizetti poteva scrivere tre opere l’anno perché seguiva scrupolosamente gli schemi della vecchia opera italiana: preso il libretto, la musica procedeva per cliché, senza troppo badare a seguire il dramma, rinunciando così ad assolvere ad una funzione drammaturgica propria.
Ma Verdi sentì progressivamente sempre più l’esigenza di riagganciare la musica al dramma, conferendogli il compito di caratterizzare psicologicamente i personaggi.
Anche perché i soggetti cessarono gradatamente di far parte del patrimonio conoscitivo, mitologico o storico dell’epoca e questo per una precisa scelta di Verdi.

Scrivere di Oberto di San Bonifacio, delle battaglie ebraico-assire, di crociate, di questioni d’onore cavalleresco intrecciate a ragion di stato, di Giovanna d’Arco, di Attila, di Macbeth o della battaglia di Legnano era, tutto sommato, conveniente giacché il pubblico già conosceva a priori le vicende connesse a queste storie.

Ma raccontare di Luisa Miller, del suo sciocco padre, del ribrezzevole Wurm, oppure narrare di Stiffelio, un prete - e già portare in scena un semplice prete era inconsueto - ma perdipiù prima sposato e poi cornuto significava esporre soggetti nuovi, inusuali, sconosciuti, che necessitavano una più chiara definizione dei ruoli e dei personaggi.

Erano storie più vicine alle cose di tutti i giorni, meno classiche, meno mitologiche. La musica veniva promossa ad un ruolo più costruttivo, coadiuvante la fortificazione all’architettura drammatica. La psicologia dei personaggi doveva trapelare sia dalle vicende sceniche, sia dalla musica che accompagnava il fluire dell’azione.

Tutto questo significava studiare a fondo le situazioni, la musica da porvi, la struttura del libretto.

Rigoletto e Trovatore saranno l'argomento del prossimo articolo.

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.