Nella trama di Don Carlo la faccenda è assai più complessa. Anzi è complessissima.
La vicenda del Don Carlo è un vero intreccio di Stato. Un giallo che finisce con un altro giallo. Vi è di tutto nel Don Carlo.
Rapporto padri figli: Carlo V è padre di Filippo II a sua volta padre di Don Carlo.
Amore impossibile: quello fra Don Carlo ed Elisabetta.
La gelosia, nella figura della principessa Eboli.
Il popolo oppresso: i Fiamminghi sotto la dominazione spagnola.
La morale onnipotente nella figura del grande inquisitore.
La vicenda inizia con un antefatto: Carlo V, Re di Spagna, abdica a favore del figlio Filippo II, ma pone come condizione che Elisabetta di Valois, figlia del Re di Francia, vada in sposa al nipote Don Carlo, l’infante di Spagna figlio di Filippo II.
Ma quest’ultimo rimane vedovo e allora è deciso che la bella Elisabetta vada in sposa a lui stesso piuttosto che al figlio Don Carlo.
Tuttavia cupido ha già colpito: Don Carlo ed Elisabetta si amano.
La storia non sarebbe poi molto originale se così rimanesse.
Ma c’è la principessa Eboli, che segretamente ama Don Carlo, e che scopre l’amore adultero fra Don Carlo ed Elisabetta, e che aspetta l’occasione per andare a spifferare tutto al Re Filippo II.
Anche fin qui la storia è simile a tante già viste.
Ma c’è pure Rodrigo, Marchese di Posa che ha un cruccio. Far cessare il clima di terrore che gli spagnoli, cioè Filippo II e la Chiesa di Spagna, stanno perpetrando nelle Fiandre.
Rodrigo dice a Don Carlo spasimante d’amore: “Amico mio, vuoi fare il Re? E allora vai nelle Fiandre a farlo sul serio; vai un po’ a vedere cosa stanno combinando tuo padre e la Chiesa Cattolica di Spagna da quelle parti.” Rodrigo è nemico della Chiesa, evidentemente.
Don Carlo si fa convincere da Rodrigo ma eccede nell’opposizione al padre arrivando persino ad armarsi contro di lui. Solo l’intervento dell’equilibrato Rodrigo evita il peggio.
Filippo II viene poi a conoscenza del tradimento della moglie.
E’ sconvolto e disperato. La moglie non lo ama ed il figlio lo tradisce.
A questo punto, all’inizio dell’atto terzo, si sviluppa una delle scene più intense di tutto il repertorio verdiano.
L’inizio è affidato a Filippo II, (Don Carlo. Atto Terzo, scena prima. FILIPPO II: “Ella giammai m’amò!...”) da solo, nel suo studio illuminato da tenui candelabri.
Filippo II conosce il proprio rivale: il figlio.
Ma non è soltanto questo che anima la meditazione di Filippo II.
Vi è anche la constatazione dell’impietosità del tempo cronologico, delle vicende del destino che possono rendere gli uomini potenti ma nel contempo irrimediabilmente soli, dell’eterna impossibilità di conoscere cosa passi nella testa degli altri, privilegio questo riservato solo a Dio.
Poi, dopo la meditazione, accade ciò che nella storia dell’umanità si è ripetuto innumerevoli volte: la ragion di Stato, le ragioni di Chiesa e le ragioni del cuore giungono al confronto, alla resa dei conti.
Al di la’ del risultato di tale confronto, alla definizione del quale è dedicata tutta l’ultima parte dell’opera, ciò che stupisce è l’intensità emotiva del duetto fra Don Carlo e l’Inquisitore (Don Carlo. Atto Terzo, scena seconda. CONTE DI LERMA: “Il Grande Inquisitor!”), la forza drammatica della musica, l’alta concentrazione teatrale.
Sconvolge la “pressione musicale” che non demorde un solo istante, che spinge l’emozione fino alla tachicardia.
Alle parole dell’Inquisitore “Perché sono io qui; che vuole il Re da me” si raggiunge il picco drammatico, la deflagrazione.
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La vicenda di Don Carlo, tratta da un dramma di Schiller, è complessa e non priva di lati oscuri. Questo la rese per diverso tempo poco apprezzata in una certa parte del pubblico abituata a storie intricate ma nel complesso chiare.
Tuttavia, col senno di poi, dobbiamo riconoscere a Verdi il merito di aver, più di chiunque altro, contribuito a svincolare da una stereotipicità stanca le vicende dell’opera italiana.
Grazie a lui il pubblico si è abituato a trame drammatiche più caratterizzate psicologicamente con intrecci densi ed articolati: l’amore, la ragion di Stato, la gelosia, il ben pensare sociale, e via dicendo.
Perciò quando Verdi accettò di musicare, su commissione del Kedivé di Egitto, una vicenda piuttosto convenzionale, lasciò più di un critico perplesso.
Ma come! Dopo l’intrigo aggrovigliato del Don Carlo, dopo la sottile psicologia di La Traviata, dopo la passione de Un Ballo in Maschera, Verdi si cimenta con un’opera basata essenzialmente sul solito intreccio lui, lei l’altra?
L'opera é Aida.