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Wagner e l'Anello del Nibelungo: Sigfrido

Sigfrido costituisce la terza giornata del Ring wagneriano, la celebre Tetralogia, che comunque non è un romanzo in quattro parti; non è un monumento letterario tipo la "Ricerca" proustiana. E' un grandioso ciclo drammatico dove la narrazione verbale si fonde con la musica prendendo vita in un'architettura scenografica. Perciò sia la scena sia la musica hanno un'importanza cruciale per la comprensione della vicenda drammatica.

Nel Sigfrido cogliere l'unità fra i tre elementi costruttivi dell'opera – musica, parola e scena - è davvero importante, sia per capire cosa accada in scena, sia per comprendere il perché dei comportamenti di alcuni protagonisti.

I direttori artistici dei teatri d'opera vogliono convincerci che la rappresentazione del Siegfried possa, tutto sommato, stare in piedi da sola, senza collegamenti con gli antecedenti narrati nelle precedenti due giornate della Teatralogia: l'Oro del Reno e Valkiria. E' una brutta abitudine al pari di quella, per alcuni versi peggiore, di rappresentare questo capolavoro in forma di concerto. 

L'idea che Sigfrido possa essere rappresentato in maniera autonoma nasce dalla teaoria che l'opera abbia una sua "quadratura", cioè un suo decorso che appare compiuto nel suo finale. L'eroe si presenta, poi lo si vede all'azione ed infine lo si ammira in un focoso lieto fine. In realtà, nel contesto generale della Tetralogia, di lieto non c'è nulla, anzi, nel Sigfrido si elabora tutta la materia che porterà alla ineluttabile tragicità del Crepuscolo degli dei.

Sarebbe fuorviante ridurre a "fiaba romantica" il prodotto di uno dei periodi artisticamente piú travagliati di Richard Wagner. Il travaglio ha riguardato propriamente la genesi di Sigfrido. Così come la nascita di Sigfrido costò la vita, nel travaglio del parto, alla madre Sieglinde, anche l'invenzione di quest'opera mise a dura prova la solidità dell'intera vena artistica wagneriana. L'insieme Wagner Sigfrido ha rischiato più volte di abortire.

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Come già era accaduto con La Valchiria, all'inizio ci ritroviamo in una situazione nuova, dove i collegamenti con gli antecedenti incontrati nell'Oro del Reno e in Valchiria sembrano rarefatti. Un elemento famigliare però c'è, ed è il nibelungo Mime, che troviamo in scena mentre si agita su di un incudine nel tentativo di forgiare una spada. Mime è il fratello di Alberich, il nibelungo che all'inizio dell'Oro del Reno aveva trafugato l'oro alle tre Ondine. Avevamo lasciato in secondo piano il nibelungo Mime ma in verità fu l'ideatore e costruttore dell'elmo che permette a chi lo indossa di trasformarsi in qualunque forma, persino in un essere invisibile.

Le intenzioni di Mime non sono buone. La spada che il nibelungo sta cercando di forgiare dovrebbe essere, nelle sue intenzioni, lo strumento in grado di farlo entrare in possesso dell'oro trafugato dal Reno, dell'anello e dell'elmo.

 

A proposito dell'oro, dell'anello e dell'elmo: dove sono finiti?? Per saperlo dobbiamo fare un passo indietro e tornare all'episodio dell'Oro del Reno, nel quale Wotan fu costretto a cedere l'intero oro, anello ed elmo compresi, ai due giganti Fasolt e Fafner, come compenso per la costruzione del Valhalla. Subito dopo essere entrati in possesso dell'oro, fra i due giganti scoppiò una lite, al termine della quale Fafner uccise Fasolt. La maledizione dell'oro si manifestò subito, implacabile.

Fafner decise allora di nascondersi nella foresta, in una caverna e, grazie all'elmo magico, cambiò immediatamente le proprie sembianze trasformandosele in quelle di un feroce drago.

Mime venuto a conoscenza di questo epidosio, decise di escogitare un modo per sconfiggere il drago Fafner e sapendo di essere un piccolo nano nibelungo si ingegnò per trovare qualcuno che lo facesse per lui.

Torniamo sulla scena, occupata da Mime che forgia una spada sull'incudine. Improvvisamente entra nel locale Sigfrido, il quale si presenta con la grazia di un elefante e, come se non bastasse, in compagnia di un orso. Mime quasi stramazza dalla paura ma Sigfrido non ci fa caso.

Che ci fa un orso bruno con Sigfrido? Rimanendo nel clima da fiaba potremmo limitarci a considerarlo un elemento scenico per provocare spavento e sorpresa. Se invece si fa riferimento alle origini mitologiche della vicenda, si scopre che l'orso è simbolo del potere nella foresta, fonte di paura per chiunque gli si avvicini.

 

Sigfrido è figlio della forestaSua madre fu Sieglinde, sorella e poi compagna di Siegmund, e quest'ultimo fu l'eroe protagonista della precedente opera La Valchiria. Evito di richiamare l'intera storia giacché è possibile leggerla nell'articolo dedicato a La Valchiria. Quando la Valchiria Brunilde consiglia a Sieglinde di nascondersi nella foresta, Brunilde è già a conoscenza che Sieglinde porta in grembo il nuovo eroe, pensandolo forse capace di salvare il mondo degli inferi, della terra e delle altitudini divine, minacciate dalla maledizione dell'oro.

Sieglinde partorisce Sigfrido nella foresta, e nel parto muore. Sigfrido diventa un Re nella foresta, e per questa ragione Sigfrido si presenta in scena accompagnato da un orso, simbolo del potere nella foresta. L'orso è tenuto da Sigfrido al guinzaglio, come se il giovane eroe fosse più potente della stessa belva. L'orso è anche simbolo della paura: non c'è uomo che possa incontrare un orso senza provarne terrore.

Per particolari come questi Wagner era di una accuratezza maniacale. Nulla dei simboli, delle parole e dei temi musicali che pone in ogni istante del dramma è messo a caso. Ogni elemento ha una funzione simbolica precisa. Impossibile comunque coglierli tutti, sebbene alcuni di essi siano importanti per comprendere nel profondo il messaggio wagneriano. La paura, ad esempio, è un tema cruciale che domina l'intero Sigfrido. Sigfrido è senza paura ed è per questo che riesce a dominare l'orso. 

Sigfrido tratta Mime in maniera brutale, quasi odiosa. Lo offende in tutti i modi. Mime sta cercando di forgiare una spada che poi consegnerà a Sigfrido ma ogni tentativo viene umiliato dall'eroe, il quale con pochi movimenti riesce sistematicamente a distruggere la spada appena ricevuta. Anche l'ultimo prodotto non resiste alla forza di Sigfrido, che con un solo colpo la manda in frantumi.

 

Conoscendo noi il progetto che Mime ha in mente ci è comprensibile l'atteggiamento scorbutico che Sigfrido ha nei confronti del nibelungo. Ma in teoria Sigfrido non sospetta ancora di nulla. Egli prova soltanto un odio atavico nei confronti di Mime, come se non potesse essere altrimenti, e questo nonostante Mime e Sigfrido abbiano una lunga ed intensa relazione: Mime ha praticamente fatto da padre a Sigfrido.

Sigfrido chiede a Mime di raccontargli una volta per tutte cosa sa della sua stessa vita; vuole conoscere chi era sua madre e che ne è stato del vero padre. Mime è costretto a raccontare al ragazzo la verità; in più spiega che sin dalla nascita è stato proprio lui stesso, Mime, a prendersi cura del piccolo Sigfrido, a crescerlo ed educarlo.

Tutto ciò non è sufficiente per indurre in Sigfrido un sentimento di gratitudine e compassione per il nano. L'eroe prova un'acredine immensa nei confronti del nibelungo e per comprenderla fino in fondo è necessario ricordare due particolari: il primo è che Sigfrido appartiene alla stirpe dei Velsunghi, generata dallo stesso Wotan, perciò Sigfrido è per metà di sangue divino. Fra gli dei e i nibelunghi c'è un'incompatibilità atavica e non componibile. Del secondo motivo ne è totalmente responsabile Mime, il quale, se è vero che ha allevato ed educato Sigfrido, è altrettanto vero che lo ha fatto solo ed esclusivamente con il progetto di sfruttare il giovane eroe per i propri scopi: ottenere l'oro che ora è in mano di Fafner. Sigfrido non lo sa ma è come se lo percepisse.

E' per questo progetto che Mime si è preso cura di Sigfrido, educandolo affinché non conoscesse la paura, la soggezione e il timore. Mime sa che solo un eroe senza paura può affrontare il drago Fafner. Ma il non conoscere la paura fa di Sigfrido una specie di eroe folle, che non può essere riconoscente perché non è in grado di apprezzare cosa costino le ansie che ciascun genitore (reale o adottivo) patisce nel suo lavoro educativo. Mime viene ripagato con la stessa arida moneta sulla quale ha investito per educare Sigfrido. Solo la visione dell'obiettivo finale gli fa sopportare le umiliazioni.

Sigfrido esce dalla spelonca del nano; dopo di lui vi entra un viandante. Avevamo già incontrato questo misterioso viandante in Valchiria: cieco di un occhio e con in mano una lancia con l'impugnatura di frassino. E' Wotan, il quale ha deciso di cominciare a prendersi cura del suo discendente Sigfrido. Gli dei non possono condizionare la vita altrui, ma possono fare "diplomazia" cioè possono disporre discutere, avvisare o persino minacciare, ponendo gli interlocutore davanti al destino ineluttabile, noto agli dei. Wotan fa un lungo colloquio con Mime; gli dice che l'unico che potrà forgiare una spada vincente è lo stesso Sigfrido, a patto che utilizzi i frammenti della spada che fu di Siegmund, raccolti da Brunilde durante il terribile combattimento con Hunding e  consegnati a Sieglinde.

Poi Wotan dice a Mime che perderà materialmente la testa ad opera di un eroe senza paura. Mime fa due conti e capisce subito quale sarà il suo destino: morire per mano di Sigfrido, a meno che... A meno che prima non riuscisse ad insegnare al giovane la paura. Ma come potrebbe un Sigfrido pauroso sconfiggere il drago?

Al ritorno Sigfrido forgia la spada invincibile mentre di nascosto Mime prepara un veleno da far ingurgitare al giovane subito dopo aver sconfitto il drago.

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All'inizio del secondo atto ci troviamo di fronte alla grotta dove sta rintanato il drago Fafner. Nascosti fra gli alberi ci sono due personaggi: uno è il viandante Wotan e l'altro è una vecchia conoscenza: Alberich, il nibelungo che sta all'origine di tutto lo sconquasso. Alberich non ha mai dimenticato l'oro, da lui stesso rapito alle Ondine, e nemmeno come questo gli sia stato trafugato da Wotan. Per questo il furbo Wotan cerca di agitare le acque, avvisando Alberich delle intenzioni del fratello Mime. Creare beghe in famiglia è sempre efficace!

All'alba Mime e Sigfrido giungono davanti alla grotta. Sigfrido allontana Mime e con sicurezza va verso il drago. Si ferma un momento. La foresta si anima ed un uccellino gli si avvicina cantando. Nella mitologia nordica il linguaggio degli uccelli è considerato foriero di presagi o di consigli divini. Solo pochi eletti riescono a comprenderne il significato. Sigfrido ancora non ne è capace.

 

Ma è invece abilissimo ad affrontare il terribile drago/Fafner. Per nulla spaventato l'unione spada Sigfrido finisce con un colpo diretto al cuore il drago. Una goccia di sangue del drago, bollente e perciò dolorosa, cade su un dito di Sigfrido. L'eroe porta istintivamente il dito alla bocca e succhia il sangue del drago.

Il sangue è simbolo di vitalità e sapienza. Bere il sangue di una creatura potente come una serpe o un drago costituisce fonte di sapienza e di forza. E' per questo che Sigfrido, dopo aver bevuto il sangue del drago, può intendere la voce dell'uccellino, il quale lo mette al corrente delle intenzioni di Mime. Sigfrido, dopo aver preso tutto l'oro ed essersi messo l'anello al dito, finisce Mime troncandogli la testa di netto, come aveva previsto Wotan.

Ora l'uccellino indica a Sigfrido la prossima tappa: raggiungere la rupe dove Brunilde riposa tra le fiamme.

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Ma il viaggio è più lungo del previsto, non perché Sigfrido incontri qualche particolare difficoltà, bensì perché Wagner sospese proprio a questo punto il progetto Tetralogia Wagner Sigfrido e tutto il resto. Qualcosa non quadrava nella mente di Wagner.

La sequenza:

  1. Sigfrido incontra Brunilde -
  2. Sigfrido restituisce l'oro al Reno -
  3. tutto torna alla normalità.

A Wagner non convinceva. E non solo perché per una strana combinazione il primissimo abbozzo della tetralogia prevedeva la morte di Sigfrido: c'era anche la questione degli déi di Sigfrido corrotti e stolti, immeritevoli di essere graziati da un eroe. Dopo il secondo atto di Sigfrido, Wagner scrisse le opere Tristano e Isotta e i Maestri cantori di Norimberga. E intanto scoprì Schopenauer e la sua visione filosofica; se ne appassionò, anche se il peso che si vuole dare a questo frangente è probabilmente esagerato.

Quando Wagner si rigetta su Sigfrido riprende con una scena che spesso viene rimossa da alcune trame (o sinossi) dell'opera stessa. Senza di essa il Sigfrido diventa davvero una fiabetta romantica. Invece quella scena è il cuore di tutto ciò che avverrà dopo.

Wotan si dirige verso la caverna dove sta Erda, la dea profetessa che aveva previsto la maledizione sugli dei. Gli racconta tutto l'accaduto, dalla punizione impartita a Brunilde fino alle ultime cose. Poi, questa volta, invece che chiedere alla profetessa quale sarà il proprio destino, è lui stesso Wotan, che annuncia ad Erda la sua tragica decisione: la redenzione del mondo non può che passare attraverso il tramonto degli dèi. Wotan rinuncia (shopenariamente) al potere ed alla vita, unica via alla redenzione. Il destino degli dèi è così segnato, inesorabilmente

Uscito dalla grotta di Erda, Wotan si pone davanti al cammino di Sigfrido il quale segue l'uccellino verso la rupe dove sta Brunilde. Finge resistenza a Sigfrido pur sapendo che soccomberebbe di certo alla spada di Sigfrido. Infatti Sigfrido spezza la lancia di Wotan senza fatica, e si incammina verso la rupe. Wotan esce di scena, per sempre.

Sigfrido supera le fiamme e si ritrova di fronte a Brunilde, coperta dallo scudo delle valchirie. Toglie lo scudo e per la prima volta vede una donna. A causa della fortissima emozione Sigfrido viene colto da una sensazione nuova, mai provata: la paura. Il timore di spezzare quell'incantesimo, la paura di non saper affrontare Brunilde, una volta sveglia.

La bacia sulla bocca, ma tenendo gli occhi chiusi; Brunilde si sveglia; Sono turbati entrambi ma la passione cresce vorticosamente.

Brunilde è angosciata dall'ineluttabile destino di dover abbandonarsi all'amore terrestre: ma il desiderio si fa forte.

Sigfrido è impaurito per queste nuove sensazioni, di ansia e di amore insieme.

Si abbracciano appassionatamente.

Naufragano nell'amore.

Per ora!

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.