Alle fonti della tetralogia wagneriana hanno attinto scrittori, drammaturghi, persino cineasti fra i più conosciuti. Tutta la saga di "Star Wars" (Guerre stellari) contiene decine di elementi che possono essere rincondotti alla mitologia nordica. Lo stesso vale per le epopee narrate da Tolkien. La presenza di eroi, di simboli magici, di rapporti controversi fra il bene e il male, fra volontà e coscienza, fra amori permessi e amori impossibili, sono tutti ingredienti condivisi da una gran parte della letteratura novecentesca.
Invece oltre il Ring wagneriano non ci sono altre opere musicali ispirate alla mitologia nordica e questo perché dopo l'Anello del Nibelungo sarebbe stato davvero difficile esprimersi musicalmente con qualcosa di inedito.
Valkiria, che viene dopo il prologo costituito dall'Oro del Reno, entra nel vivo della vicenda, e lo fa diventando un po' psicodramma, un po' dramma d'amore e di passione, un po' saga di eroi.
Valkiria è un'opera traboccante di passione, di emozione e teatralità. Non sempre l'opera di Wagner riesce a commuovere, a far vibrare la sensibilità più immediata. Normalmente l'opera wagneriana è più suggestiva che melodrammatica, più intellettuale che emotiva; a parte Valkiria. Ci si può accostare a Valkiria quasi come ci si accosta a Traviata di Giuseppe Verdi. La stessa compassione che si riserva a Violetta ci si ritrova a dedicarla a Brunilde. Lo stesso sentimento contraddittorio che si sente per i Germont, padre e figlio, lo si riscopre per Wotan, padre di Brunilde, un dio che è figlio della sua antinomia interiore, fra il ruolo di dio eletto e la sensibilità di padre.
Wagner era consapevole che difficilmente uno avrebbe potuto potesse assistere da capo a fondo alla rappresentazione integrale di tutta la tetralogia, che alla fine dura complessivamente quasi quindici ore. Inoltre, ai tempi di Wagner, il progetto di allestire contemporaneamente quattro opere intere era cosa realizzabile solo in pochissimi teatri al mondo: fra questi il "suo" teatro di Bayreuth. Comunque, lui stesso impiegò molti anni a portare a compimento l'intero progetto, per cui sentì come necessità quello di richiamare nel corso di ogni singola opera i cosiddetti "antecedenti", cioè tutto ciò che era già accaduto fino a lì nelle opere precedenti che costituiscono l'intero Ring.
In Valkiria Wagner lo fa, ma non prima del secondo atto, sfoderando così una tecnica drammaturgica modernissima e quasi cinematografica. Nel primo atto la storia si avvia con personaggi e scenari inediti, costringendo così lo spettatore a cercare da sé i collegamenti con i fili lasciati aperti nell'oro del Reno. Poi nel secondo atto molte cose si chiariscono.
Siccome io non sto rappresentando l'opera ma sto invece cercando di raccontarne la vicenda, riducendola a tratti semplificati, stendo subito alcuni ponti di collegamento con ciò che già è accaduto nell'Oro del Reno (vedi l'articolo dedicato).
L'equilibrio cosmico che aveva permesso a dèi, giganti, nibelunghi, umani e tutte le altre figure, di vivere in armonia è rotto. Due sono gli elementi che hanno causato questa rottura: il furto dell'oro dal greto del Reno, e la provata inattendibilità degli dèi, ed in particolare di Wotan. L'inaffidabilità di Wotan va al di là della furbizia con la quale ha ingannato il nibelungo Alberich; il più importante fra gli dèi ha prima tentato di raggirare i giganti e poi ha addirittura ceduto alla tentazione di tenersi la parte più importante dell'oro trafugato al Reno: l'anello, che da' potere estremo a chi lo possiede.
Wotan appare inaffidabile persino nella sua vita privata. Diciamo che sembra non insensibile al fascino femminile, sia esso di matrice divina, sia esso terreno. Per cui ha un po' di figli sparsi qui e là, concepiti con questa o quella dea o donna.
Nella mitologia nordica Wotan (Odino) incarna caratteri piuttosto differenti rispetto a come lo tratteggia Wagner. Benché Odino sia innovatore, spregiudicato e sconvolgente, non può essere considerato adultero perché è un dio creatore. Odino, insieme ai suoi fratelli, è padre di tutti, umani o dèi che siano. I suoi molteplici figli sono i capostipiti delle più grandi stirpi.
Il Wotan di Wagner invece deve apparire come un dio in decadenza, contraddittorio più che spregiudicato; creatore sì ma ormai disordinato nei suoi progetti divini. Mentre nella saga nordica le Valkirie sono figlie adottive di Odino, per Wagner sono figlie biologiche, nate dall'accoppiamento con la profetessa e semidea Erda, la stessa profetessa che aveva predetto a Wotan che l'anello, ora in possesso del gigante Fafner, avrebbe costituito maledizione per tutti, dèi compresi.
Wotan è consapevole che prima o poi Alberich avrebbe condotto una rivolta mettendosi a capo dei Nibelunghi armati. Alberich sicuramente desidera vendicare l'umiliazione subita. Nonostante Wotan sia un dio, egli non potrebbe affrontare da solo l'esercito dei Nibelunghi, magari alleati con le altre potenze malefiche.
Nella nordica concezione divina, gli dèi sono potenti, ma comunque dipendenti da tutte le altre figure cosmiche. Ad esempio, solo i Nibelunghi sanno fondere e forgiare il metallo. Privati dei loro manufatti, anche gli dèi diventano vulnerabili. Wotan perciò ha bisogno di aiuto, e questo aiuto glielo possono offrire gli "Eroi" figure a metà fra il divino e l'umano, capaci per questo di mediare fra le forze terrene e quelle divine.
Nella concezione wagneriana tali figure non potevano che avere un padre divino e una madre semidivina com'era appunto Erda. Sarà dalla stirpe dei Velsunghi, generata da Wotan insieme ad Erda, che discenderanno tutti gli eroi protagonisti dell'intera tetralogia.
Wotan, non avendo potere sul destino dei non divini, per reclutare gli eroi ha bisogno di figure non prettamente divine, sebbene vicine al mondo degli dei. A questo scopo si affida alle Valkirie, figlie concepite con la semidea Erda.
Le Valkirie avranno il compito di reclutare gli eroi caduti sui campi di battaglia, portando i loro corpi al Valhalla, residenza degli dèi, dove troveranno nuova vita come guerrieri divini.
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Quando l'opera si apre troviamo sulla scena un uomo e una donna. Lei è Sieglinde, moglie di Hunding, ed è la padrona di casa. Lui, non è Hunding, ma è un guerriero senz'armi, sfinito e ferito, che chiede conforto e ristoro. Fra i due scocca rapidamente una scintilla di compassione, fatta di sguardi ed emozioni intense. Quando giunge il marito Hunding, l'uomo narra ciò che gli è accaduto, e durante il racconto scoprono vicendevolmente di essere stati nemici fino a poche ore prima. Hunding rincorreva l'uomo e l'uomo si era nascosto nella sua stessa casa.
Il motivo per cui Hunding inseguiva quest'uomo, che ancora non ha detto esattamente come si chiami, ma che noi sappiamo essere Siegmund, non è da sottovalutare. Siegmund era andato in soccorso ad una fanciulla, costretta con violenza ad un matrimonio senza amore. Il tema dell'amore vero e autentico, opposto a quello comandato, è ricorrente e centrale nella dinamica psicologica dell'intera opera. Anche Sieglinde, si scoprirà, è sposata ad Hunding perché costretta, e senza che fra i due ci sia mai stato vero amore (prova simbolica è l'assenza di figli).
Quando Hunding scopre di avere di fronte chi ha impedito il matrimonio a cui partecipava come intimo invitato, annuncia a Siegmund che la mattina dopo dovrà battersi in duello con lui stesso. E' un duello a tradimento, perché Siegmund è totalmente disarmato, e nessuno potrà riarmarlo per la mattina dopo. Ma Sieglinde, mentre si allontana dalla stanza e dopo che Hunding si è ritirato, indica con una occhiata a Siegmund il focolare. Da esso una fiammata rivela l'elsa di una spada, conficcata nel tronco di un frassino attorno al quale è stata costruita la casa.
Siegmund ricorda che il padre gli promise un giorno un'arma invincibile. Che si tratti proprio di quell'arma, quella conficcata nel frassino?
Fra Siegmund e Sieglinde matura un'amore intenso e appassionato. Ella gli rivela che nel giorno delle sue nozze, un vecchio con un occhio solo irruppe nel banchetto e conficcò la spada nel frassino, dicendo che solo un eroe sarebbe riuscito ad appropriarsene.
Siegmund cerca perciò di estrarre la spada e riesce a farla propria. Improvvisamente tutto si chiarisce ai due. Essi sono fratello e sorella, gemelli e capostipiti della valorosa schiatta dei Velsunghi. Non sono ancora consapevoli di essere figli di Wotan, il vecchio con un solo occhio che ha conficcato la spada nel frassino. Travolti dalla passione Siegmund e Sieglinde scappano insieme in una notte fattasi improvvisamente stellata e primaverile.
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Nel secondo atto muta improvvisamente la scena. Wotan sta parlando con la Valkiria e sua figlia prediletta Brunilde, alla quale ordina di proteggere Siegmund dalla collera di Hunding, che ovviamente ha preso a rincorrere i due fuggitivi. Ma sopraggiunge la dea Fricka, moglie di Wotan, la quale rappresenta la difesa dell'ordine costituito. La faccenda a Fricka non piace e non è assolutamente d'accordo sull'opportunità che Brunilde difenda Siegmund. Non lo è per due motivi: il primo è che fra Siegmund e Sieglinde si è instaurato un evidente amore incestuoso. Il secondo, meno manifesto, è che Fricka è un po' stufa dei pasticci che sta creando Wotan ed è anche un po' gelosa del mondo di affetti paralleli del marito. A Fricka non stanno simpatiche né le Valkirie, né i Velsunghi né le continue scappatelle del marito.
E' qui che si coglie l'aspetto decadente del mondo di questi dèi. Nella mitologia nordica Odino/Wotan era creatore. Qui è padre ambiguo presino adultero. Se Wotan difendesse l'amore intenso, vero ma incestuoso dei due fuggitivi, chissà cosa si direbbe in giro degli dèi! Nel colloquio fra Fricka e Wotan affiora tutta la torva piccolezza dei censori, per i quali l'amore esiste solo se decente. Wotan, incapace di difendere ormai qualunque posizione coerente, pur cercando di spiegare quale progetto abbia in testa (salvare Siegmund perché Eroe superiore, in grado di sconfiggere l'esercito di Alberich) cede alle preoccupazioni di facciata di Fricka.
Wotan richiama Brunilde e, seppur distrutto dal dolore, ribalta ciò che le aveva chiesto poco prima: non avrà più il compito di proteggere il figlio Siegmund, il quale dovrà invece morire. A nulla valgono i tentativi di Brunilde nel tentare di far ricredere il padre Wotan.
Brunilde, approfittando di un momento in qui Sieglinde si è addormentata, appare a Siegmund, e gli preannuncia che presto dovrà morire. Siegmund respinge Brunilde e le chiede se nel disegno del destino che lo riguarda sia previsto il distacco da Sieglinde. Brunilde insiste dicendo che solo lui dovrà morire mentre Sieglinde rimarrà in vita. Siegmund allora minaccia di uccidersi insieme a Sieglinde, cosicché nessuno potrà più separarli. Brunilde, travolta dalla commozione per questo amore infinito, decide di contravvenire all'ordine di Wotan: promette a Siegmund che lo proteggerà nel duello con Hunding.
Hunding giunge ed il duello inizia. Brunilde protegge Siegmund ma quando costui sta per prevalere definitivamente interviene direttamente Wotan che con una lancia manda in frantumi la spada di Siegmund. Hunding colpisce a morte Siegmund. Wotan, in preda ad una collera inaudita fulmina Hunding e si lancia all'inseguimento della figlia traditrice Brunilde, la quale è scappata portando con sé la disperata Sieglinde.
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Il terzo atto si apre con la celebre "Cavalcata delle Valkirie" la quale però, osservando come le Valkirie accolgono Brunilde e Sieglinde, sembra un po' meno maestosa di ciò che si immaginava. Le sorelle Valkirie prendono le distanze da Brunilde. Non mostrano particolare sensibilità nemmeno quando vengono a sapere che Sieglinde porta in grembo il frutto dell'amore fra lei e Siegmund. Non realizzano che quella creatura che Sieglinde porta in grembo potrà essere davvero l'Eroe che salverà gli dèi, e il mondo intero.
Brunilde indica a Sieglinde la foresta ad est come luogo abbastanza sicuro dove allevare il piccolo nascituro. Prima che Sieglinde si eclissi Brunilde le consegna i frammenti della spada che fu di Siegmund. Chi la saprà forgiare nuovamente otterrà da quei frammenti una nuova spada magica. Ritroveremo Sieglinde, o meglio, il figlio di Sieglinde e Siegmund, nelle successive giornate del Ring.
Wotan giunge fra fulmini e tempeste; chiama a rapporto Brunilde la quale tenta di discolparsi ma Wotan è impietoso. Decide per lei la pena più infamante per una semidea: diventerà mortale, e ad ella Wotan consegna un destino di donna normale, sposa e madre. Brunilde cerca di spiegare al padre Wotan la ragione del suo gesto. Dice di aver letto la volontà del padre, volontà fermata dalla fredda razionalità impostagli dalla moglie.
Da qui in poi il dramma si fa psicodramma. Tutto il colloquio fra Wotan e Brunilde, di palpitante intensità, è fonte di una commozione crescente. Wotan spiega a Brunilde che sarà calata in un sonno lunghissimo dal quale sarà svegliata per opera di un uomo che la prenderà in sposa. Brunilde implora che sia un eroe, l'uomo in grado di salvarla, ma Wotan non può decidere del destino degli umani e degli eroi. Allora Brunilde chiede che attorno alla rupe sulla quale troverà il sonno ci sia un fuoco immenso, che solo un vero Eroe possa affrontare e vincere.
Quando Wotan si impetosisce e si appresta a lasciare Brunilde, acconsentendo alle sue richieste, è maledettamente difficile per noi spettatori trattenere il nodo alla gola.
Wotan pronuncia parole di amore infinito per la figlia diletta. Il dio supremo soffre maledettamente per ciò che è costretto a fare. Wotan è costretto a punire e abbandonare la figlia Brunilde, che ama perdutamente. La maledizione dell'oro, che si manifesta come maledizione all'amore vero, continua ad erodere Wotan e l'universo intero.
Wotan invoca Loge, padrone del fuoco, e a lui dà il computo di infuocare la rupe al centro del quale, protetta, dorme Brunilde; e rimane a guardare con infinita disperazione.