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Madame Butterfly, grande storia di piccole cose

Madame Butterfly, l'opera lirica, ha un padre naturale, Giacomo Puccini, due zii, i librettisti Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, e molti nonni. Nonno ne fu lo scrittore americano John Luther Long, che raccolse in una piccola storia i racconti della sorella di ritorno da un soggiorno in Giappone. Altro nonno fu Pierre Loti che nel 1887 scrisse una novella dal titolo "Madame Chrysanthème", un nonno importante e spesso non citato.

Poi si possono considerare nonni gli autori di reportage di viaggio e di esperienze esotiche, di moda a fine 800, di certo apprezzate da Puccini. Infine, il nonno più riferito, il regista e produttore teatrale americano David Belasco, attraverso il quale Puccini conobbe il mondo di Madame Butterfly.

Genitori, zii e nonni, si rapportano con l'opera pucciniana in maniera curiosa: più la linea ereditaria è vicina, più il panorama dei riferimenti culturali che reggono la storia si fanno immaginari. Puccini e Belasco con conobbero di persona la terra giapponese mentre Pierre Loti fu tenente di vascello della marina francese proprio a Nagasaki, arrivando a prendere per moglie una "geisha" per qualche mese. John Luther Long conobbe il Giappone attraverso la testimonianza diretta della sorella che pare ebbe modo di osservare con i propri occhi una storia simile a quella di Madame Butterfly. Puccini invece, come detto, non solo non visitò il Giappone, ma anche quando gli capitò di assistere a New York, nel marzo del 1900, al dramma Madame Butterfly messo in scena da Belasco, fu colpito dalla vicenda intima dei protagonisti, dalla carica emotiva, dall'ambientazione esotica, pur non comprendendo una parola della recitazione, perché digiuno di lingua inglese.

Ecco perché Madame Butterfly non necessita di spiegazioni della trama, di analisi, di congetture su simbolismi e profondità che, se ci sono, traspaiono senza filtri, giungono allo spettatore con immediatezza disarmante.

Amare Cio-cio-san (Madame Butterfly), la fida Suzuki, il buon Console Sharpless, persino il timido Principe Yamadori è cosa naturale. Odiare Pinkerton e quasi tutti gli altri lo è anch'essa. Infine provare angoscia irrefrenabile per il piccolo "Dolore", così Cio-cio-san chiama il figlioletto frutto della relazione fra lei e Pinkerton, è qualcosa che si riesce ad evitare solo con cure omeopatiche, basate sulla assiduità con l'opera e sullo studio tecnico: è così che i direttori riescono a governare una musica che piange sotto la bacchetta.

Chi si recasse a teatro per la prima volta ad assistere ad una rappresentazione di Madame Butterfly può andarci come se andasse al cinema: capirà tutto, non gli sfuggirà una parola, un sospiro.

Vivrà la goffaggine iniziale di Pinkerton, tenente della marina Usa, che sceglie casa in terra nipponica e prende accordi con il Console; assisterà ad una cerimonia di nozze, fra Pinkerton e Madama Butterfly, lieve ma ambigua, dove la tenerezza di lei, Cio-cio-san, si confronta con la presunzione "macha" di lui, Pinkerton.

Udrà i tuoni dello zio Bonzo, che vede lontano e quel matrimonio proprio non gli piace. E poi sarà coinvolto in una delle scene d'amore più profonde che mai siano state concepite. Amore sensuale, erotico ma sublime.

Poi sprofonderà nel dramma totale della piccola Cio-cio-san, tenace nella speranza che l'incubo della solitudine, causata dalla partenza di Pinkerton, e della indigenza per se stessa e per il piccolo figlioletto nato dopo la partenza del marinaio, possano volgere in gioia nel momento in cui un pennacchio, un fil di fumo, dividano in due l'orizzonte del mare di Nagasaki.

Il resto è la storia, il dramma, la dignità e il pentimento, ma sta tutto lì, nell'opera, ed è impossibile non cogliere tutto fino in fondo, fino al "magone".

L'effetto curioso di quest'opera italo-giapponese è che i giapponesi l'hanno ritenuta da subito propria, quasi fosse simbolica, soprattutto dopo le bombe atomiche della seconda guerra mondiale, del modo presuntuoso con il quale l'occidente avrebbe fatto man bassa dell'oriente. Verità di parte, si sa', perché la storia è molto varia e altalenante, ed i giapponesi hanno fatto la loro parte, bella e brutta.

Giacomo Puccini cercò di reperire le informazioni più particolareggiate sul Giappone, i suoi costumi e persino le sue musiche. Attraverso la moglie dell'ambasciatore giapponese trascrisse alcune melodie di canzoni native, ascoltò dischi giapponesi e si fece correggere i nomi dei personaggi per renderli più realistici. Voleva scrivere un opera giapponese, e ci riuscì standosene prevalentemente in Toscana, fra crisi matrimoniali, incidenti automobilistici e drammi amorosi. Tuttavia sarebbe un errore cercare simbolismi storico sociali in quest'opera del vivere quotidiano, dove i drammi veri del falso amore e dell'abbandono sono lì rappresentati in Giappone ma varrebbero pure a Vimercate.

Madame Butterfly non necessità indagini strutturali o semiologiche. C'è chi vorrebbe rendere Madame Butterfly un dramma psicologico, ma in realtà, posto che la psicologia regga l'esistenza di tutti, è un dramma di psicologia spiccia, tutt'altro che complessa. E' una di quelle opere dove la lettura del libretto può sovraccaricare di spunti una storia che invece fa delle parole l'uso che ciascuno fa tutti i giorni: parole istintive, umorali, provocatorie ed illusorie.

La rappresentazione teatrale dell'opera ci restituisce la misura più giusta di ciò che intende esprimere, il corretto equilibrio. Madame Butterfly è una storia, anzi una tragedia giapponese in tre atti.

Tanto basta sapere per andare a teatro ed iniziare ad amarla.

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.