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Arpeggi al pianoforte

Arpeggi al pianoforte è la continuazione della serie di interviste al pianista Lucio Bonardi dedicata allo studio del pianoforte. Oggi affronteremo l'argomento arpeggi, moduli di studio importanti sebbene talvolta trascurati nello studio giornaliero.

Sugli arpeggi al pianoforte c'è un atteggiamento contraddittorio persino nei programmi di studio accademici. Nel vecchio ordinamento di studi per il diploma di pianoforte, per l'esame di quinto non sono previsti gli arpeggi, mentre curiosamente sono richiesti per gli esami di pianoforte complementare, i quali notoriamente presuppongono una preparazione inferiore ad un quinto anno ufficiale. Per cui può sorgere la domanda: è necessario cominciare lo studio degli arpeggi sin dall'inizio, oppure è un tipo di tecnica più avanzata?

Giro la domanda a Lucio Bonardi

Le contraddizioni che qui e là appaiono nei vecchi ordinamenti di studio sono molte. Quella sugli arpeggi è una delle più appariscenti. In realtà gli arpeggi sono una colonna fondamentale dell'addestramento tecnico di un pianista, ed è impensabile affrontare i brani del quinto anno senza aver mai studiato gli arpeggi.
Normalmente si cominciano ad affrontare non appena si sia acquisita una certa famigliarità con le principali scale maggiori e minori.

Per cui non si cominciano a studiare subito, insieme alle prime scale?

Si potrebbe anche fare, ma io personalmente consiglio ai miei allievi di attendere qualche mese prima di affiancare gli arpeggi alle scale. La ragione sta nella tecnica del "passaggio del pollice". Il passaggio del pollice è uno degli ostacoli maggiori alla fluidità del movimento della mano, sia nelle scale che negli arpeggi. Nelle scale però il passaggio presuppone un movimento più corto rispetto a quello richiesto dagli arpeggi. Per cui è meglio acquisire prima una certa fluidità nel passaggio nel pollice sulle scale, per poi gradatamente affrontare gli arpeggi concentrandosi sul nuovo piccolo ampliamento del movimento.

Si può dire che la tecnica degli arpeggi al pianoforte serva proprio a rendere più ampia l'articolazione della mano?

In parte si, ma non ne farei una questione di pura "ginnastica preparatoria". C'è un motivo molto più semplice per cui si studiano così tanto scale ed arpeggi: la maggioranza della musica pianistica è strutturata su frammenti più o meno grandi di scale od arpeggi. Se le mani hanno memorizzato i movimenti di scale ed arpeggi, nel momento in cui si affronta lo studio di un nuovo brano, una buona parte del lavoro tecnico è già pronta e ci si può dedicare agli aspetti tecnici più complessi.

Piccoli mattoncini tecnici che verranno utili nella vita da pianista, insomma

Esattamente! E ce ne sono molti di questi piccoli mattoncini: scale, arpeggi, trilli, ecc. ecc.
Ci tengo a riaffermarlo perché talvolta si pensa allo studio della tecnica fondamentale come se fosse una semplice ginnastica. Le scale e gli arpeggi devono sempre essere affrontati con un orecchio musicale attento.

Per cui niente tastiere mute, cioè tastiere che non emettono suoni ma che consentono di esercitare particolari tecnici?

Non ne ho mai avuta una. Un pianista musicista si adatta a studiare su pianoforti ibridi acustico/elettronici (i "Silent", ad esempio), solo per non disturbare i vicini; ma se dipendesse da lui studierebbe anche le scale e gli arpeggi su un "gran coda"!

Torniamo agli arpeggi. Anche per loro è preferibile iniziare da quelli maggiori per poi passare a quelli minori?

No, per gli arpeggi io seguo un altro ordine. Siccome l'arpeggio maggiore ha quasi sempre la stessa diteggiatura di quello minore che parte dalla stessa tonica (Do maggiore – Do minore; Sol maggiore – Sol minore ecc.), generalmente faccio studiare l'arpeggio maggiore e subito dopo quello minore con la stessa tonica d'inizio. In questo modo si apprendono più rapidamente e con maggiore razionalità.

Ci sono diteggiature particolari per gli arpeggi?

Come per le scale esistono diverse possibilità. Io adotto un principio di fondo: mai il pollice sui tasti neri a meno che tutto l'arpeggio non si sviluppi integralmente su di essi, come ad esempio nell'arpeggio di Fa diesis maggiore. Ma se solo c'è un tasto bianco nello sviluppo dell'arpeggio – come ad esempio in Fa diesis minore - allora il pollice dovrà sempre essere posto sul tasto bianco. La stessa cosa vale più o meno per il mignolo, che essendo corto fa sempre più fatica a raggiungere i tasti neri.

Gli arpeggi si sviluppano solo nelle modalità maggiori e minori?

No. Si studiano gli arpeggi maggiori, quelli minori e poi quelli di settima di dominante e di settima diminuita. Le settime si affrontano un poco più avanti ma sono di grandissima utilità.

Per concludere possiamo dire che le scale sono tanto importanti quanto gli arpeggi?

Assolutamente sì! Nella tecnica fondamentale del pianoforte, scale ed arpeggi sono le colonne strutturali. Per cui il loro studio è consigliabile a chiunque desideri ottenere buoni e rapidi risultati su tutti gli strumenti a tastiera.

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.