Parlare di formazione musicale in Italia significa toccare un argomento controverso.
Formazione dovrebbe significare addestrare ad una professione, ad un mestiere; insomma dotare un soggetto di competenze spendibili nel mondo del lavoro.
Ma formazione può anche essere intesa, come occasione per apprendere capacità usate per diletto, senza cioè farne un fattore di redditività. Frequentare un corso di formazione per infermieri presuppone la volontà di diventare infermiere. Frequentare un corso di “decoupage” è invece più consueto per chi cerca di perfezionare il proprio hobby.
Esistono poi discipline che stanno a metà fra il professionale e l’amatoriale: la fotografia, il disegno, la scrittura creativa, le lingue straniere e…la musica.
Tanti sono gli studenti di musica che hanno ambizioni professionali, tanti sono quelli che studiano per hobby.
Il problema
Il problema sorge quando si va a scoprire che una straordinaria quantità di studenti con ambizioni professionali si ritrova a dover fare musica solo per hobby. Non per scelta, non per mutate aspirazioni, ma per ragioni esterne alla propria motivazione.
Per anni, una certa cultura snob ha giustificato il fenomeno tirando in ballo questioni “meritocratiche”. Della serie: “tu non sei abbastanza bravo per cui non trovi spazio in un mondo professionale dove la selezione è agguerritissima”.
E tanti ci cascavano.
C’era allora chi mollava il colpo passando a fare altro e chi invece, illudendosi, andava a prosciugare i propri esigui guadagni in fantomatici “corsi di perfezionamento” che perfezionavano, o meglio, arrotondavano solo i guadagni di chi ai corsi ci andava come docente/alchimista.
Gli uni e gli altri, gli arresi e gli illusi, mantenevano però le orecchie ben aperte: e spesso (non sempre) ascoltando il prodotto musicale di chi invece nel “terribile mondo musicale” c’era entrato, si chiedevano: “ma possibile ch’io faccia tanto peggio di loro??”.
Qualche piccolo cambiamento
Per fortuna col nuovo millennio questa cultura ipocrita si è diluita anche se non completamente. Ora però circola una nuova teoria, nefasta tanto quanto la prima: è la teoria del pessimismo totale, del “non ce n’è più per nessuno” e del “con la musica non si guadagna”.
Anche questo modo di pensare è bislacco ed ipocrita! Perché, se questo fosse vero, i primi a farsi carico del problema dovrebbero essere le centinaia di conservatori, istituti pareggiati, scuole professionali, accademie internazionali eccetera, eccetera, che continuano a moltiplicarsi come conigli.
Insegnare serve!
Prima di tirarmi addosso le critiche di tutti i docenti preciso che la teoria che andrò via via sviluppando su questo sito non mira a mettere in dubbio l'esistenza queste istituzioni. Ridiscuterne il ruolo sì, invece.
Io sostengo che fra i paesi europei l’Italia sia fra i più arretrati sotto il profilo dell’educazione musicale. Il punto non è “tagliare”: il punto è dare un senso realistico al concetto di “formazione musicale”.
Ci sono aree, in Italia, dove più istituti insistono sullo stesso territorio con la pretesa di essere tutti “professionalizzanti” e, ciò che più sorprende, senza che nessuno di questi si differenzi davvero dagli altri.
Milano, per esempio.
Milano con il suo hinterland ne è una prova. Nello spazio di due chilometri si contendono il ruolo di scuole altamente professionalizzanti il Conservatorio Giuseppe Verdi, l’Accademia internazionale della musica (ex scuola civica) e l’Accademia di perfezionamento del Teatro alla Scala, escluse altre scuole più piccole. Entrare nel merito dei piani di studio di queste scuole esula dallo scopo di questo articolo. Tuttavia è possibile farsene un idea visitando i relativi siti.
E a Bolzano...
A Bolzano esiste invece un istituto musicale, l’Istituto “Antonio Vivaldi”, che per statuto si deve occupare di “formazione amatoriale”. Di formare professionisti non gliene importa. Se capita un talento, questo avrà comunque modo di trovare la formazione professionale che merita. Inoltre, in questo istituto di “formazione amatoriale” la totalità degli insegnati è a contratto di lavoratore dipendente. Cosa rara in Accademie sedicenti super-professionalizzanti con certificato di Qualità!
Coscienza nella formazione professionale
E’ necessario che chi fa formazione si ponga in una prospettiva orientata all’allievo. Ma orientata sul serio, non a parole! Orientarsi all'allievo significa porsi il quesito: Quanti dei miei allievi, una volta diplomati, potranno ottenere l’autonomia economica grazie al lavoro che io gli ho insegnato a fare?
Si prenda, ad esempio, il “Corso per professori d’orchestra dell’Accademia d’Arti & Mestrieri dello spettacolo del Teatro alla Scala” (l’articolo sembra lungo ma è solo perché devo citare diciture wertmülleriane). Al termine del corso, quanti allievi diplomati in questo corso il Teatro alla Scala si impegna ad assumere nei propri organici visto che saranno perfezionati? Non sono previste assunzioni certe? E allora non bastava potenziare l’offerta formativa del Conservatorio G.Verdi che sta a ottocento metri? E la Scala non potrebbe impiegare le proprie risorse per moltiplicare l'attività musicale, la divulgazione, l'attività per ragazzi e scuole, fare ciò che un ente musicale deve fare e non rincorrere i finanziamenti per la formazione??
La scala di importanza
Perché la primissima cosa da fare è rivitalizzare l’attività musicale in Italia, cosa che è possibilissima ma che non trova volontà politiche, ed economiche. Ripeto “volontà”, non “possibilità”.
Ma insieme sono necessarie altre due cose: la prima è che il sistema formativo si riorganizzi dall’interno per adattarsi alle esigenze educative della popolazione italiana, più che di formazione professionale.
La seconda cosa, sulla quale ritornerò con ampi ragionamenti, è che i musicisti, tutti i musicisti, tornino a dominare il mondo musicale così come a loro compete.
I musicisti sono artisti, ma devono rendersi pure conto di essere anche imprenditori (se nessuno li assume lo sono di fatto), manager, organizzatori e soprattutto perfetti conoscitori del loro mondo e mercato musicale. L’unico neo è che nessuno gli ha mai inoculato la consapevolezza di questo loro ruolo extra-artistico.
I musicisti insegnati e direttori di istituti di formazione hanno inoltre la responsabilità di infondere questa consapevolezza anche ai loro giovani allievi i quali, se vorranno fare la professione di musicista, dovranno saper intraprendere, produrre e vendere.
Il futuro sarà dei musicisti imprenditori.
Il futuro è già qui!