Più di dieci anni fa (come passa il tempo...) l'amico Fabio Ranghiero, curatore del sito The Musical Blog richiese a me ed ad alcuni musicisti di spicco un'intervista, che andandola a rileggere mi pare ancora attuale. Ho deciso di riportare qui la mia intervista invitando a fare un giretto sul sito di Fabio per leggere le altre, davvero interessanti. Colgo l'occasione per dire che la copertina del cd messa qui a fianco è dell'ultimo lavoro di Fabio e del suo gruppo. Io l'ho ascoltato....bellissimo...da farci un pensierino (anche per questo fatevi un bel giretto su The Musical Blog . E ora l'intervista.
Ciao Bruno, intanto grazie per avermi concesso parte del tuo tempo per questa breve intervista. Ti ho conosciuto qualche mese fa attraverso il tuo blog. Da subito ho capito l'alta qualità di “gremus”, che è oggi uno dei blog musicali italiani più interessanti e utili nell'attuale panorama del web. Con quali motivazioni è nato e, se ci sono, con quali obiettivi?
Innanzi tutto ti ringrazio per il giudizio lusinghiero che hai espresso per Gremus.it. Gremus è nato con l'ambizioso proposito di fare della musica e della cultura musicale un bene comune, accogliendo lo spirito del sapere condiviso che anima il cosiddetto Web 2.0. Alla musica, quasi per caso, si sono aggiunte tematiche culturali e sociali le quali, comunque, hanno permesso di comprendere un fenomeno importante: per incontrare nuovo pubblico, per divulgare e far conoscere a più persone la propria arte o il proprio pensiero, è necessario "nuotare" anche in acque apparentemente lontane dall'area di riferimento. Il sapere condiviso non può essere ridotto a scomparti, non può essere ridotto a libri monotematici. Del resto la musica non è mai stata un'espressione esclusiva. Ha sempre prosperato nelle contaminazioni religiose, politiche, sociali e storiche. Oggi non lo è di meno.
Come me hai scoperto le potenzialità del web. Oggi un musicista dovrebbe affacciarsi in internet attraverso un blog (visto come sito elastico, vivo) o con il classico sito web "statico" ? E più in generale quanto dobbiamo credere nelle opportunità di internet (noi musicisti) ?
Dipende da ciò che ci si propone di ottenere dal web. Un musicista già affermato può scegliere una soluzione statica, magari implementando grafiche accattivanti, sistemi di e.commerce o forum di contatto con il proprio pubblico. Per un musicista che deve ancora emergere l'obiettivo è risalire rapidamente il "rank" dei motori di ricerca e per ottenere questo il sito dinamico, il blog, è il mezzo tecnico migliore. Ovviamente un blog va alimentato giornalmente, aggiornandolo con nuovi contenuti, spunti e riflessioni. Internet non offre possibilità concrete e prevedibili ma permette a ciascuno di sondare e sperimentare un nuovo livello di comunicazione. In un'epoca dove la comunicazione è fondamentale per chiunque desideri "partecipare" alla vita sociale, internet non può che estendere il raggio comunicativo, rendendolo globale e transculturale. La musica e la sua portata universale hanno già trovato nella rete un mezzo di diffusione potentissimo. Credo che i musicisti non avranno molta scelta: internet sarà sempre più la maggior parte di ciò che sta dopo il loro microfono o strumento che sia.
Hai parlato di musicisti affermati che magari possono pensare ad una soluzione web "statica" e musicisti in cerca di successo che magari dovrebbero pensare ad una cosa più dinamica. Economicamente la soluzione è giusta, ma la divisione che hai fatto mi spaventa. Non è che così si motiva il musicista affermato a "riposare sugli allori"? Se il musicista raggiunge un buon risultato con un sito dinamico in cui presenta musica, pensieri ecc. ecc. perchè dovrebbe abbandonare questa strada? Per capitalizzare quanto fatto e lavorare meno ? Come la prenderebbe chi lo ha seguito fino a quel momento? Non sarebbe, al di là di effettivi cambi di opinione che avvengono nel tempo, un "tradimento alla causa" ? Mi spiego meglio... quanto piacevole potrebbe essere trovare un blog musicale di Guccini, o di Dalla, musicisti affermati, che sfrutta in modo capillare le potenzialità della rete?
Un sito dinamico, che poi serve ad instaurare un colloquio diretto con il proprio pubblico, è sicuramente utile sia al novellino sia al musicista affermato. Il motivo per cui l'artista popolare finisce col trascurare una esperienza del genere è che grazie alla sua popolarità può "vendere" la sua esperienza, il suo "know how" le sue storie ed i suoi consigli. Lo può fare attraverso libri, interviste, programmi televisivi e via dicendo. Dirò una cosa che forse suona come provocatoria: il web 2.0, il sapere condiviso è ancora visto come uno strumento straordinario di comunicazione ma solo per chi non può accedere ai livelli mediatici più popolari ed immediati (e redditizi). Chi accede a quei livelli difficilmente vi rinuncia. In prospettiva la potenzialità del livelli che distribuiscono reddito immediato a chi vende il proprio sapere o la propria arte sta diminuendo sempre più.
E allora succederà che anche le star dovranno diventare partecipi del Web condiviso.
Quindi alla fine si parla sempre di...soldi, giusto? Si va dove si prende. Ma mettiamola sul piano umano e dimmi cosa pensi veramente. Pensiamo alla musica e basta. Con gli artisti che vanno dove "c'è la pagnotta".... dove andrà a finire la musica? E' umanamente sensato che un artista che ha curato il rapporto con i fans della prima ora vi rinunci in virtù di forme meno dirette di comunicazione, in nome del maggior guadagno?
A questa domanda risponde l'intera storia dell'arte e forse dell'umanità. Se Bach, o Mozart o Verdi o anche Pavarotti avessero potuto produrre arte senza doverla legare alla pagnotta avrebbero ugualmente offerto all'umanità ciò che hanno offerto? La realtà è che ciascuno di questi faceva arte per vivere e nella storia sono rarissimi i casi contrari. Non bisogna sempre demonizzare il binomio arte-danaro. E' il bisogno che molto spesso ha spinto gli artisti a superare se stessi.
Scusa mi sono espresso male, anzi malissimo. Chiaro che i soldi per vivere devono arrivare. Quando dico "fare soldi" intendo "perseguirli (quasi) con ogni mezzo, metterli in prima posizione (do per scontato che l'artista debba vivere ). Intendo quel momento in cui ci si dimentica perchè si fa una cosa e si comincia a pensare solo all'arricchimento. L'arte in quel momento non diventa più il fine (con il quale guadagnare) bensì un mezzo.
La questione da artistico-filosofico-sociale diventa etica. In questa accezione prima dell'artista viene l'uomo e la sua personale lista di valori prioritari. A me non piacciono molto le generalizzazioni etiche, perché poi chissà perché i più strenui moralisti sono spesso i più intolleranti. Anche Mozart cercava committenti ricchi e soggiaceva ai loro gusti; e se poi vai a vedere scopri che tutti i musicisti hanno sempre frequentato più volentieri i salotti aristocratici che le bettole. Persino Beethoven predicava la libertà ma viveva delle rendite e delle offerte ottenute dai nobili scappati dalla Parigi rivoluzionaria. Verdi scriveva i "Lombardi alla prima crociata" cavalcando il sentimento risorgimentale e dedicava la partitura alla Duchessa di Parma Maria Luigia ex moglie di Napoleone. E ha poi nominato quegli anni di opere e dediche "studiate ad hoc" i suoi Anni di galera (e di tanti quattrini). La storia è piena di queste curiosità.Io ho scelto di fare il musicista, l'organizzatore e lo scrittore (e un po' di altre cosucce che devo fare per campare). Questa scelta si fonda su valori che ovviamente non mettono la ricerca del denaro a qualunque costo ai primi posti. Ma se un giorno un tizio mi dicesse: "se mi vendi Gremus ti offro parecchi quattrini (tanti quattrini)" be'...ti confesso che mi fermerei a pensarci sopra.
Mmmm...non ti vedo senza il tuo “gremus”. A proposito....diritti d'autore. Una volta non c'erano e abbiamo avuto Bach Beethoven e Mozart, Chopin Debussy Shumann, Vivaldi Scarlatti e....aggiungici chi vuoi. Poi sono arrivati e abbiamo avuto Lucio Battisti i Beatles ed i Rolling Stones la droga il sesso ed il rock'n roll. Quale potrebbe essere la legislazione ideale per il futuro?
Il primo a pretendere il riconoscimento dei diritti d'autore fu Giuseppe Verdi. Prima di lui il compositore vendeva la partitura ad un committente (un privato od un editore) senza godere di alcun diritto sulle rappresentazioni. Verdi, da esperto finanziare quale era, intuì che i guadagni più cospicui potevano essere fatti non sulla vendita della partitura ma sull'utilizzazione della partitura stessa. Poi venne l'era dei dischi, e dai guadagni sulle rappresentazioni si passò a quelli sulle copie vendute o sui passaggi
radiofonici. Il sistema sembrava perfetto ma il problema è che i dischi costavano troppo al consumatore finale. L'avvento di internet è giunto come una mannaia ed ha stroncato il sistema dei diritti sulle copie. Il lavoro dell'autore è stato progressivamente svalorizzato, non solo nella musica, ma anche nella letteratura, nelle sceneggiatura, nella fotografia o nel video. In buona sostanza l'autore dovrebbe campar d'aria. Verrebbe perciò da dire che il sistema dei diritti d'autore dovrebbe essere adattato a questo nuovo scenario per ritrovare funzionalità. Ma ciò è impossibile! Il diritto d'autore è praticamente morto. Legalmente non c'è quasi più nessuno in grado di tutelarlo o difenderlo con efficacia. Che fare allora? Secondo me l'autore oggi deve farsi "impresa" ritornando a produrre su commissione, inventando servizi accessori (produzione consulenza ecc.) e creandosi dei propri network di contatto diretto con il pubblico, bypassando intermediari e operatori di mercato. Il valore, nella nostra società interconnessa, deve andare ad incontrare altro valore direttamente: l'autore deve cercarsi direttamente il suo pubblico, facendosi pagare direttamente da questo. Internet diverrà presto il cuore di questo "peer to peer" del valore. Internet ha azzoppato il diritto d'autore ma offre anche l'alternativa. Non sarà facile, ma per ora strade migliori non se ne vedo.