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Le possibilità del reale

Le Funambole - Gilbert GarcinDalle origini l'uomo è andato sempre alla ricerca della verità. Prima ancora del porsi domande sul senso del vivere il cruccio esistenziale classico è stato identificare il vero, farne un riferimento, poi un termine di giudizio e poi perfino un dogma. Il vero è ciò che alcuni uomini, umani in tutto e per tutto, hanno stabilito fosse tanto vero da dover attagliarsi a qualunque essere umano. Ma curiosamente le verità sono già sorte gemellate con decine, forse migliaia, forse innumerevoli verità alternative, talvolta simili, talvolta opposte. La ragione è semplice: anche una sola verità può essere letta ed interpretata da ogni uomo in modo diverso. La realtà, il vero, la verità non è al di fuori dell'uomo: egli ne fa parte e con la sua unicità la rende ogni volta un po' diversa. La verità, insomma, siamo anche noi.

Considerarsi parte del reale e del vero è un primo passo verso il ragionare su alcune questioni chiave: la tolleranza, la fallibilità e la possibilità.

Di tolleranza si parla già molto benché in una maniera che spesso urta il cardine chiave che dovrebbe motivarla. La tolleranza è invocata stabilendo a priori che vi sia un "diverso" da tollerare, da accogliere, da integrare fra simili che poi, a ben guardare, tanto simili non sono.
Già il tollerare presuppone che una persona debba superare una posizione di critica verso un'altra persona per giungere poi ad un accordo di mutua sopportazione. Dietro la "tolleranza" si nasconde quasi sempre uno strato spesso di ipocrisia. Questo perché non esiste persona al mondo per la quale non sia necessario trovare un mutuo modo di intendersi, di capirsi, di comunicare e relazionarsi. Persino con i propri figli si aprono spesso voragini di incomunicabilità, ma in questi casi nessuno si sognerebbe di parlare di "intolleranza". Non ci si parla, oppure ci si confronta senza mezzi termini.

La tolleranza è invece porsi in uno stato di rapporto "filtrato", dove le diversità rimangono inconciliabili ma sopportate. Il riconoscere a priori che la diversità è forse l'unica "verità" assoluta è qualcosa che gli uomini stentano ad accettare. Il fatto ad esempio che una persona possa trovare straordinaria un'esistenza che per altri è meschina è la prova che la verità, quella popolare soprattutto, sia ormai totalmente corrotta da schiavitù mentali inaudite.

Un uomo si alza la mattina e vede il mondo con occhi lucidi di commozione per la bellezza che gli si pone davanti, per il futuro che lo aspetta, per il novero di possibilità che sente nelle proprie mani. Dietro le sue spalle si apre la porta ed appare un'altra persona che vede un letto di cartone, una finestra su un vicolo e sente il pavimento gelato. Per questa seconda persona la commozione del primo non ha alcun senso. Dove sta la verità?
La tentazione è dire senza indugio che la verità sta in chi è in grado di commuoversi, di sentire il futuro e di percepire la straordinaria forza del "possibile". Invece sono verità ambedue, ambedue umane e reali, ambedue vere. Tutte e due le persone partecipano e condizionano il loro mondo reale, e dal loro modo di percepire e muoversi nel reale ne scaturiranno vite diverse. Probabilmente le due persone si comprenderanno a fatica. Questo perché chi si appiccica alle apparenze spesso non comprende chi si apre al futuro con commozione. Forse si tollereranno.

L'essere partecipi del reale, aprirsi al futuro, espone l'uomo al rischio dello sbaglio, alla fallibilità, al fallimento insomma. Per un certo tipo di cultura, o di verità, il fallire è un'onta dalla quale si rimane segnati, talvolta per sempre. E' la tipica cultura meschina di chi spesso nella vita si è sottratto a qualunque tipo di rischio, a qualunque sfida anche con se stesso, di chi dell'esistenza ha preferito il lato B, cioè del curarsi solo di cosa possa venirgli addosso.

Tutte le più grandi scoperte scientifiche, le più grandi invenzioni, le più straordinarie opere d'arte e le azioni più nobili sono state sempre, rigorosamente sempre, corollate da quantità impressionanti di fallimenti. Questo perché il nuovo si apre sempre allo sconosciuto e nessuna previsione reale, cioè basata sulla "verita" di cui facciamo parte, può davvero garantirci sul futuro e sullo sconosciuto.
George Soros dice: "E' giunto il momento di riconoscere che la nostra comprensione della realtà è imperfetta per natura e che le nostre decisioni sono destinate ad avere conseguenze impreviste. L'età della ragione dovrebbe cedere il passo all'era della fallibilità. Questo sarebbe il vero progresso"

Il futuro non può essere preventivato e nemmeno progettato. Può essere solo accolto, ma condizione per accoglierlo è essere disposti a rischiare, a sbagliare, a fallire, a dover cambiar rotta sul percorso.
Ogni essere umano si forma il proprio mondo reale ponendosi alcuni ideali, inseguendo alcuni obiettivi, rincorrendo alcuni sogni. La consapevolezza che la nostra realtà, la nostra verità, sia più in mano nostra di quanto si immagini, e la capacità di accogliere la fallibilità come possibilità di una sicura evoluzione verso quegli ideali e quei sogni, sono le chiavi per aprire la porta della possibilità, porta dietro la quale tutto è possibile, dove la passione non è regolata da norme ma da emozioni, dove i sogni si sciolgono tutt'uno con il reale.
Il nostro reale.

Se dovessi desiderare qualcosa non desidererei ricchezza o potere, ma l'appassionato sentimento di quello che può essere l'occhio, che, sempre giovane e ardente, vede il possibile. Il piacere delude, la possibilità mai. E quale vino è così frizzante, quale così fragrante, quale così inebriante come la possibilità?
Soren Kierkegaard

Gremus

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La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.